
Ecco il documento firmato da 46 economisti su sbilanciamoci. info che mostra come i diktat di Marchionne nascondano in realtà la totale mancanza di idee di sviluppo e la volontà invece di fare cassa per gli azionisti.
Il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino – che segue l’analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco – è importante per il futuro economico e sociale del paese. Giornali e tv presentano la versione Fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell’auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all’impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali.
Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010.
Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti.
A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno.
A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l’occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari medi sono tra i più bassi d’Europa e la distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio.
Questi dati devono essere al centro della discussione sul futuro della Fiat. L’accordo concluso dalla Fiat con Fim, Uilm e Fimsic per Mirafiori – che la Fiom ha rifiutato di firmare – prevede un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività. L’accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sul piano delle relazioni industriali i contenuti dell’accordo sono particolarmente gravi: l’accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancellerebbe la Fiom dalla presenza nell’azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito.
Il referendum del 13-14 gennaio tra i dipendenti sull’accordo, con la minaccia Fiat di cancellare l’investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro. In questa prospettiva, la strategia Fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un modello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello americano.
Esistono alternative a una strategia di questo tipo.
In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l’orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione; in questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda. Produrre auto in Europa è possibile se c’è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale; per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati; un’organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni. E’ necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell’innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più efficienti; l’integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda. Considerando l’eccesso di capacità produttiva nell’auto in Europa, è auspicabile che queste politiche vengano definite in un contesto europeo, evitando competizioni al ribasso su costi e condizioni di lavoro. Su tutti questi temi è necessario un confronto, un negoziato e un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori dell’azienda.
In nessun paese europeo l’industria dell’auto ha tentato di eliminare un sindacato critico della strategia aziendale dalla possibilità di negoziare le condizioni di lavoro e di rappresentare i lavoratori. L’accordo Fiat di Mirafiori riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l’economia e il paese.
Ci auguriamo che la Fiat rinunci a una strada che non porterebbe risultati economici, ma un inasprimento dei conflitti sociali. Ci auguriamo che governo e forze politiche e sindacali contribuiscano a una soluzione di questo conflitto che ristabilisca i diritti dei lavoratori a essere rappresentati in modo democratico e tuteli le condizioni di lavoro. Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori coinvolti e alla Fiom, sosteniamo lo sciopero nazionale del 28 gennaio 2011 e ci impegniamo ad aprire una discussione sul futuro dell’industria, del lavoro e della democrazia, sui luoghi di lavoro e nella società italiana.
Margherita Balconi, Università di Pavia
Paolo Bosi, Università di Modena e Reggio Emilia
Gian Paolo Caselli, Università di Modena e Reggio Emilia
Daniele Checchi, Università Statale di Milano
Tommaso Ciarli, Max Planck Institute of Economics
Vincenzo Comito, Università di Urbino
Marcella Corsi, Università di Roma “La Sapienza”
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Marco Faillo, Università degli Studi di Trento
Paolo Figini, Università di Bologna
Massimo Florio, Università Statale di Milano
Maurizio Franzini, Università di Roma “La Sapienza”
Lia Fubini, Università di Torino
Andrea Fumagalli, Università di Pavia
Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
Adriano Giannola, Università di Napoli Federico II
Anna Giunta, Università di Roma Tre
Andrea Ginzburg, Università di Modena e Reggio Emilia
Claudio Gnesutta, Università di Roma “La Sapienza”
Elena Granaglia, Università di Roma Tre
Simona Iammarino, London School of Economics
Peter Kammerer, Università di Urbino
Paolo Leon, Università di Roma Tre
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Luigi Marengo, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Pietro Masina, Università di Napoli “L’Orientale”
Massimiliano Mazzanti, Università di Ferrara
Marco Mazzoli, Università Cattolica di Piacenza
Domenico Mario Nuti, Università di Roma “La Sapienza”
Paolo Palazzi, Università di Roma “La Sapienza”
Cosimo Perrotta, Università del Salento
Mario Pianta, Università di Urbino
Paolo Pini, Università di Ferrara
Felice Roberto Pizzuti, Università di Roma “La Sapienza”
Andrea Ricci, Università di Urbino
Andrea Roventini, Università di Verona
Maria Savona, University of Sussex
Francesco Scacciati, Università di Torino
Alessandro Sterlacchini, Università Politecnica delle Marche
Stefano Sylos Labini, Enea
Giuseppe Tattara, Università di Venezia
Andrea Vaona, Università di Verona
Marco Vivarelli, Università Cattolica di Piacenza
Antonello Zanfei, Università di Urbino
Adelino Zanini, Università Politecnica delle Marche
è bellissimo: aziende che mai hanno investito una lira, che vivono da 50 anni grazie alla politica folle dei governi e dei sindacati. Diritto di licenziare è dovere di assumere. Ma Marchionne è furbo..lui se ne strafotte del libero mercato, non è una batteglia liberista. Gli Economisti potranno anche sbagliare ma quel che è certo è che LA FIAT NON SA STARE SUL MERCATO. Ai tempi di Ghidella -che guadagnava meno di un decimo di ciò che piglia Marchionne- la Fiat faceva ottime auto. Ora ha un management che fa pena, viene strabattuta da renault, citroen , wolks etc… eppure gli azionisti hanno dividendi maggiori di quelli delle aziende citate. PERCHÈ? non ci vedete qualcosa di tipicamente italiano? “Non mi frega di niente e di nessuno, intanto faccio soldi..” Tipico!! Uno Stato serio a fronte di una simile vergognosa gestione, nazionalizzava le fabbriche di Fiat e le metteva sul mercato fino alla completa restituzione di tutti i soldi che lo Stato gli ha ficcato e se non bastava recquisiva case e terre di Agnelli e co, e dava il foglio di via a quel buffone che solo in Italia viene considerato un manager (aspettate che lo conoscano bene gli americani poi vedremo). Questa vergogna per cui bisogna guadagnare sulle azioni invece che sulla produzione è la grande strada degli INCAPACI. Non molto diverso da quei mafiosi che guadagnando con lo scarico dei rifiuti tossici nel mar mediterraneo, al telefono si dicono “e che me ne fotte con i soldi vado al mare ai caraibi”. Ecco verrà presto il giorno, continuando così, che il buo Marchionne dovrà vivere quando in italia barricato e con le guardie che lo difendano dalla rabbia e dalla disperazione che c’è fuori. Potrà sempre dire, mister 450mla euro al mese(ma che diventerenna presto di più), “che me ne fotte, io vado a vivere altrove”. E se andate a vedere, alla fine della crisi questi signori guadagneranno di più… perchè non è vero che i soldi non ci sono…semplicemente si stanno accumulando in poche tasche. E la cecità di tutti questi difensori del “libero mercato”, come se fosse questo il “libero mercato”. Stiamo tornando indietro di 200 anni e con il benestare dei criminali, dei ladri, degli indifferenti e degli stupidi. EVVIVA EVVIVA… scorrerà il sangue, le ingiustizie sono palesi, evidenti e inaccettabili… la distribuzione della ricchezza è a livelli da 800 eppure, anche tra questi commenti, c’è chi lo vuole… spero almeno siano tra quelli che ci guadagnano…
Esaminiamo alla luce della logica e della ragione alcune affermazioni da bar, ma proprio di quelli dell’estrema periferia che sanno di vino e di degrado. Per esempio mi chiedo cosa pare nella vita questo tale Gabriele. Il professore universitario no, visto che dall’infantilismo ottuso delle sue parole si vede benissimo che non ha la minima idea di cosa sia l’università e l’insegnamento universitario. Quindi è del tutto inutile far notare al gentile intervenuto che la fiat lavora in stretto contatto con le migliori scuole politecniche italiane. E che molti suoi progettisti sono al contempo anche docenti universitari.
Ma il Gabriele non fa nemmeno l’operaio: non ne ha i dubbi, né l’onestà, né la dignità. Cosa farà Gabriele da grande, nell’improbabile ipotesi che superi mentalmente i sette anni? Farà ciò che è: il mugugnatore a tempo perso con la mascella collegata al coccige, il so tutto io senza curarsi di sapere, in pratica il nulla. O al massimo il povero fesso di chi saprà sfruttarne l’infantile sicumera.
i professori universitari,sono solo capaci di sparare idiozie,vivono in mondo che non esiste se non nella loro testa,non hanno mai lavorato,non sanno nemmeno cosa sia
una macchina a controllo numerico,provino loro a dirigere una qualsiasi industria, fallirebbe immediatamente,certo che la fiat sta usando la forza,oggi non c’è +nessuno i sinistroidi nascosti nelle sedi del partito a mugugnare e basta.
poveri lavoratori
Bell’articolo… Il contributo di Notitiae e di Controgossip ai links
http://notitiae.wordpress.com/2011/01/04/viva-l%e2%80%99italia-dall%e2%80%99alleanza-con-l%e2%80%99udc-al-piano-marchionne/
http://controgossip.wordpress.com/2011/01/04/dallalleanza-con-l%e2%80%99udc-al-piano-marchionne-viva-l%e2%80%99italia/
Per Daniele : cosa significa “gli operai e i capi non snno lavorare” ? Non sanno lavorare come gli equivalenti tedeschi e quindi e’ inutile tenere aperte le fabbriche in Italia (l’ obiettivo di Marchionne) ?
Oppure non sanno lavorare con gli orari e i salari dei cinesi (e quindi e’ giusto che vengano licenziati o sostituiti da cinesi) ? La prospettiva di una economia italiana basata solo sul turismo (grazie BONDI) sulla finanza (grazie ai manager che guadagnano + di 100.000 euro all’ anno senza sentirsi responsabili del fatto che le piccole aziende chiudono per mancanza di finanziamenti) mi sembra una utopia o una visione da paese dei balocchi ….. Non abbiamo ancora finito di scendere in basso nella classifica delle nazioni piu’ evolute e penso sara’ oppportuno che l’ Italia si prepari ad uscire dalla zona Euro per accodarsi all’ Unione Africana: almeno riceveremo gli aiuti che i paesi avanzati avviano verso i paesi in via di sviluppo ….
dotti professori ma voi avete mai visto come si lavora nelle fabbriche italiane? le vostre teorie sono giuste ma gli operai italiani ed i capi italiani secondo me non sanno lavorare (non tutti naturalmente)
Quei professori universitari non conoscono il mondo del lavoro e non hanno mai avuto a che fare con i sindacalisti e perciò sono doppiamente ignoranti e non hanno titolo a sparare sentenze.
non esprimo opinioni sulla questione ma per quanto riguarda gli economisti leggete il libro Maledetti economisti, Le idiozie di una scienza inesistente di Sergio Ricossa, un economista pentito
Morirete dalle risate per le scempiaggini di qiesta categoria e la giudicherete per quella che è un insieme di parolai
si alla fiat si vuole fare cassa e basta .I lavoratori contano come un 2 da picche.
HO NOTATO CHE MANCANO GLI ECONOMISTI DELLA CATTOLICA, DELLA BOCCONI, I LINCEI E I PREMI NOBEL, CHE EVIDENTEMENTE NON SONO COSI’ VELODI NELLE ANALISI.
EPPURE LA MACROECONOMIA QUESTI SIGNORI DOVREBBERO CONOSCERLA. TEORIZZARE E’ INUTILE.
GRAZIE PER L’ARTICOLO. TUTTI I CITTADINI VI SAREBBERO GRATI DI UN ULTERIORE INDAGINE CHE RIFERISSE QUANTO LO STATO (OSSIA NOI TUTTI)HA VERSATO ALLA FIAT, NEL SUO COMPLESSO.
CREDO CHE SI TRATTI DI CIFRE DA CAPOGIRO, PER IL CUI ACCERTAMENTO FORSE CI VORREBBE UN’INCHIESTA PARLAMENTARE. RISORSE SOTTRATTE INUTILMENTE AI CITTADINI, CHE NON NE HANNO AVUTO ALCUN VANTAGGIO, POSTO CHE L’OCCUPAZIONE NON è STATA MANTENUTA.
tutti bravi a fare i professori nelle università. Un po’ meno nella pratica di tutti i giorni.
Non posso che darti amaramente ragione su tutto. Ormai è più che evidente che il progetto Pd è fallito.
Io credo che il referendum sull’accordo Marchionne che voteranno nei prossimi giorni i lavoratori non possa considerarsi tale. Il referendum è espressione di libera scelta. Quello che voteranno gli operai è solo il frutto di un ricatto. Volete lavorare? Avete famiglia e siete in cassa integrazione senza possibilità di trovare un’altra occupazione? Siete sufficientemente disperati? Rinunciate alla vostra dignità, lavorate accettando oltre 140 ore di straordinario obbligatorio, con la mensa a fine turno e 3 pause di 10 minuti durante le otto ore (minime) di lavoro. Tutto ciò, oltretutto,”in barba” alle richieste di maggiore sicurezza sul lavoro. E’ evidente che un lavoratore che deve mantenere una famiglia subisce il ricatto pur di lavorare, accetta di perdere la sua dignità, i suoi diritti se non viene sostenuto da un’azione politica forte e coesa di opposizione a norme che ci riportano a condizioni lavorative simili a quelle ottocentesche. La cosiddetta sinistra, il PD, che dovrebbe tutelare la “dignità” del lavoro, che dovrebbe promuovere azioni e politiche tendenti al conseguimento di un’equità sociale che nel nostro Paese si allontana sempre di più, si sta rendendo complice di una politica scellerata che mira a mantenere i privilegi di pochi a danno dei lavoratori.Il ricatto di Marchionne e la resa dei sindacati CISL e UIL, che in tal modo diventano suoi complici, non riguarda solo gli operai di Mirafiori. La logica che propone verrà estesa agli altri gruppi industriali e in breve a tutto il mondo del lavoro.
E la sinistra? Morta, complice, incapace di fornire risposte, come è stata incapace di fare una reale opposizione al Governo di Berlusconi. La stessa riforma Gelmini dell’Università forse non sarebbe passata se tutti i senatori del PD fossero stati in aula. Il PD non rappresenta più la sinistra, non rappresenta più nei “fatti” i suoi valori di “uguaglianza”, di “giustizia”, di “equità”…sembrano marionette impaurite sull’orlo di un precipizio. Spero che cadano in fretta, insieme alla CGIL che ogni giorno sembra voler prendere le distanze dalla FIOM, e che persone che non hanno timori a definirsi di “sinistra”, che perseguono gli ideali di una società più giusta, più solidale, che tuteli innanzitutto i cittadini e non i “comitati di affari”, trovino la forza di unirsi e reagire all’attacco alla democrazia che l’accordo Marchionne rappresenta. Spero che Vendola e con lui tanti altri sappiano fare ciò.