Anna Lombroso per il Simplicissimus

Vedovelle e orfanelli hanno deciso. L’elaborazione del lutto è durata abbastanza e ora è tempo di asciugare le lacrime e badare alla bottega: campagna elettorale, coalizioni possibili, guardiani dei porci addetti alla breve transizione, ma soprattutto al consolidamento delle varie lobby affaristiche per aggiudicarsi quel che si può del Pnrr, che, ricordiamolo, è quel piano in due successive versioni in cui i due governi   sono parimenti implicati, anche in  assenza del dimesso battitore d’asta.

E d’altra parte lui era là per quello. E  loro erano incaricati di appoggiarlo almeno finchè i padroni l’avessero giudicato indispensabile.

L’unica consolazione che abbiamo è che adesso non lo è più, sprofondato nella polvere dell’umiliazione e del rapido oblio, perché nemmeno lui è insostituibile: una volta portate a casa le controriforme pretese e una volta autorganizzatesi le truppe cui sarà destinato il bottino di guerra, siano multinazionali del farmaco e della cura in previsione dell’auspicata medicalizzazione della società, imprese del digitale promosse a attività primaria in vista del totalizzante controllo sociale, incarnato tra l’altro dalla valorizzazione del green pass come tessera di certificazione della cittadinanza.

E poi sindaci conquistati con aumenti di remunerazioni e di “competenze”, dotati di una polizia sempre più libera di agire in questioni di ordine pubblico, decoro e repressione, abilitati a riscuotere per al realizzazione di nuove opere infrastrutturali dei quali è accertato il potere malaffaristico, una parte della magistratura autorizzata a nuovi pieni poteri che favoriscano interessi privati, ma che al contempo ostacolino colleghi rei di cercare giustizia nelle more di una gestione emergenziale illegale e illegittima.

Non dimentichiamo poi altre frattaglie che andranno a nutrire target particolari, quella forma speciale di privatizzazione dell’assistenza, della cura e della sanità affidata a un terzo settore sempre più mercenario, con le sue strutture di ricovero e gestione die prodotti malriusciti o ormai poco fruttuosi della società, con i loro asili a pagamenti, le loro scuole e scuolette formative da consegnare a chi non è riuscito a diventare professore di Harvard e per giunta vive nello sprofondo del peso morto meridionale.

E mogli di rotariani cui dare un po’ di guazza con le prebende dell’imprenditorialità in quota rosa. Insomma qualcosa da arraffare c’è ancora alla faccia di noi che poi salderemo il debito, cui dovremo aggiungere il risarcimento per l’impegno morale che ci siamo assunti di stare al fianco e armare gli ultimi eroici custodi dei valori occidentali tra i quali si sono casualmente arruolati nuovi e vecchi nazisti.

A quello dovrebbe servire la corretta manutenzione e promozione della cosiddetta Agenda Draghi, cito: punto fondante del progetto elettorale del Pd  e pietra angolare sulla quale costruire l’alleanza elettorale del centrosinistra, che va spiegata all’ignaro popolino che non ha compreso che il condottiero disarcionato era l’uomo della provvidenza, casa per casa, talkshow per talkshow, tweet su tweet da quando sono state demolite sezioni, cancellati gli spazi della politica e soprattutto quelli della partecipazione, in modo da far capire qual era la vera essenza economica e sociale di quel piano, un grande e ambizioso edificio di investimenti, e quale il suo compito politico e morale, mostrare anche ai più riottosi in cosa consiste la differenza tra riformismo progressista, ma chiamiamolo pure “sinistra”, e le destre populiste e sovraniste, che richiamano la fedeltà a valori nazionalistici ormai superati e distruttivi, rappresentati in Italia da due babau che se non ci fossero si dovrebbero inventare in modo da illustrare plasticamente dove stanno il Bene e il Male.

Sposare l’agenda Draghi, secondo la stampa, vuol dire essere “riformisti”, “europeisti” e “atlantisti”, tre aggettivi che raramente potrebbero trovare patria anche in un solo partito o movimento italiano degli ultimi 30 anni.

Se per una volta prescindiamo da appelli, lettere aperte, petizioni che ormai prendono il posto delle antiche liste con la compagna bracciante, il minatore e il metalmeccanico, sarebbe interessane identificare chi sono gli influencer o meglio gli occupanti delle geografie politiche che, unici in Europa, hanno deciso che dovessimo farci rifilare tutto il pacchetto completo di elemosine, debiti, mazzette legali, stecche autorizzate e non, a differenza di altri paesi, Grecia e Spagna compresi, che forti dell’esperienza, hanno diffidato della carità pelosa elargita dai cravattari.

E quando, perfino ora, qualcuno si interroga sul perché chi non si astiene scivola pericolosamente dal disincanto alla consegna a “destre” conclamate e ormai rivendicate, che denunciano e sfruttano la defezione di una sinistra venuta meno all’impegno di proteggere i diseredati, gli sfruttati, dalla povertà, dall’umiliazione dando loro possibilità di riscatto, dovremmo ricordare loro che sia pure con le dovute differenze tra socialdemocratici, socialisti, comunisti, antagonisti antisistema le organizzazioni della “sinistra” erano tenute a rappresentare non le Élite, ma i più svantaggiati, i lavoratori, i marginali.

Ci è permesso dunque gioire per qualche non proprio modesta ricaduta, per qualche effetto collaterale che per una volta viene a nostro vantaggio. Si è sgretolato – se n’è accorto, pensate un po’, Calenda –  « il governo più atlantista della storia», tanto da far sospettare che dietro ci sia il complotto filoputiniano in Italia. Ma anche il più europeista, più ancora di quello Monti, incaricato di rinchiudere il Paese nelle galere sotterranee della fortezza, di far remare i galeotti verso la tempesta perfetta, il definitivo naufragio.

Che la distanza tra élite e nazione e popolo e gente, per usare il più anodino dei termini e perciò il preferito dall’oligarchia, sia sempre più profonda, si sapeva. Ma magari ora lo choc potrebbe far capire che l’intento non era solo cancellare gli scarni avanzi di rappresentanza e democrazia, ma soprattutto dello Stato, dopo aver eroso quello sociale e demolito quello di diritto, accusato di inefficienza e al tempo stesso di invadenza, di dissipazione di beni e di riluttanza a completare la sua stessa svendita, incapace, corrotto, sprecone, cui sostituire quindi un sistema emblematico di interessi, lobby, gruppi di pressione e cricche, quelle finanziarie e aziendali delle multinazionali dominanti, farmaceutiche, commerciali, digitali, informatiche, delle armi e delle polizie addette alla sorveglianza globale.

Perché gli “stati” contrapposti  a una  supernazione supersovrana potrebbero costituire un rischio, quello di calmierare e ostacolare l’istinto predone della bestia capitalista, addirittura di correggere vizi del mercato, rovesciando la loro azione finora diretta a adoperarsi per   l’apparato finanziario con pacchetti di salvataggio, o a mobilitare aiuti sottraendoli al welfare, ai servizi, agli ammortizzatori, indirizzandoli verso azioni di emergenza sanitarie o belliche, orchestrate e allestite per rafforzare il dominio globale.

Beh se è successo è stato anche grazie a noi, grazie al successo di slogan e parole d’ordine, saggia autoregolazione dei mercati, competitività, concorrenza, sicurezza,  supremazia dei canoni privatistici, monopoli digitali capaci di organizzare al meglio le nostre esistenze, medicalizzazione e controlli finalizzati a garantirci salute, ordine e benessere. (1. Segue)