Anna Lombroso per il Simplicissimus
Nell’aprire i lavori di Davos 2022, Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, una specie di sora Cesira di Schwab che da noi può vantare valide imitatrici, che ne so, la Picierno, per fare un esempio, ha attribuito la responsabilità della combinazione di “calamità” che si è abbattuta sull’economia globale, a due virus letali: il Covid -19 e Putin, secondo l’interpretazione rituale che esonera dalla colpa delle catastrofi che colpiscono, inattese e imprevedibili, nazioni e popoli, chi consapevolmente le causa e produce.
A conferma che l’instancabile fabbricazione e commercializzazione di menzogne è funzionale unicamente a alimentare la narrazione di eventi incontrastabili e ingovernabili, malgrado la buona volontà dei Grandi della Terra, allo scopo di mantenere in vita il corpaccione agonizzante del sistema grazie a un susseguirsi di stati di eccezione che si nutrono di paura, intimidazione e ricatto.
Non stupisce dunque che siano ancora gli stessi due virus a spiegare disuguaglianze sempre più profonde, nuove e antiche povertà sempre più cruente, per le quali le cerchie dei pensatori tutti, posseduti ormai implacabilmente dai demoni del neoliberismo, allestiscono fantasiose motivazioni che devono sfociare in una sola causa: gran parte dei danni che colpiscono la classe lavoratrice, i ceti regrediti a moltitudini indifferenziate unite solo dalla perdita di beni e identità, sarebbero perlopiù meritati, frutto di accidiosa incapacità a adattarsi alle leggi della modernità che impongono di attrezzarsi per raccogliere le sfide della competitività, e di formarsi per svolgere al meglio mansioni ripetitive nel minor tempo possibile e con meccanica efficacia.
A maggior ragione se si parla dell’Italia dove questa indole sarebbe largamente presente nell’autobiografia nazionale e si colloca al meglio in una situazione emergenziale, pandemica e bellica, dove non bastano più e si sono esauriti quei fondamenti sani che caratterizzavano il nostro popolo di risparmiatori, guardati con compiacimento dall’avvicendarsi di tirannelli ridicoli ma feroci: cavalieri, commissari, figure mitologiche, cui è stato dato fondo nel tempo per sostituire coi sani valori della famiglia i benefici conquistati in decenni, quelli dello stato sociale cancellato, dell’assistenza pubblica e della rete dei servizi demolita.
E si capisce che se un numero sempre minore di volontari si mostra disponibile al sacrificio richiesto per consolidare un modello di vita diventato punitivo, che costringe a rinunce inspiegabili e privazioni immotivate, a carestia, stenti, spese e costi resi obbligatori da arbitrarie e inopportune giustificazioni di carattere morale, ciononostante la reazione si limiti al mugugno o alla pretesa di qualche licenza ad personam o categoria.
Anche quando, come è successo, l’Istat ci ha informati che 5,6 milioni di italiani nel 2021 si sono trovati in condizione di “povertà assoluta” confermando così i massimi storici toccati nel 2020, anno d’inizio della pandemia dovuta al Covid-19.
Le rilevazioni fanno uso di alcuni criteri e indicatori messi a punto nel 2005 che tengono conto di alcuni fattori: dal potere di acquisto, ai prezzi medi delle diverse zone geografiche, tarati su un paniere che include generi di prima necessità, beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.
L’algida comunicazione del nostro istituto di statistica rafforzata dal contributo disciplinare della Saraceno – folgorata dall’agnizione che la ripresa auspicata dia però disuguale – lascia intendere che si tratta del solito fenomeno collaterale, quello che malauguratamente interessa i civili inermi colpiti a caso dalle bombe dell’impero, ma non del tutto innocenti però, a badare alle convinzioni che ispirano le politiche liberiste e di austerità e che oggi innervano la progettualità del Grande Reset, trovatisi nel posto sbagliato al momento sbagliato e per giunta poco inclini a uniformarsi a standard di “crescita” che richiedono entusiastica soggezione a canoni e parametri, preferendo una marginalità che si nutre di assistenzialismo clientelare e familista e – scaldalo! – di reddito di cittadinanza.
E difatti nel 2021, la povertà assoluta risulta ancora più alta al Sud, mentre migliora al Nord per famiglie e individui. Lo scorso anno, indica infatti l’Istat, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (10,0%, da 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord (6,7% da 7,6%), in particolare nel Nord-ovest (6,7% da 7,9%). Tra lefamiglie povere, il 42,2% risiede nel Mezzogiorno (38,6% nel 2020) e il 42,6% al Nord (47,0% nel 2020).
Quello che la stampa non ci ha detto è però che non si tratta più di reietti, di ceti già condannati a vivere negli anfratti angusti o ai confini della società, rintanati in una invisibile condizione di marginalità, disoccupati, inoccupati, precari senza speranza e aspettativa. Ormai rientrano nella cerchia dei “poveri assoluti” i recenti espulsi da quella cantata da Ricolfi quella classe signorile che all’indispensabile può aggiungere Netflix e qualche fondo assicurativo, allargandosi a quelli che pur essendosi sottomessi al giogo di contratti anomali, che hanno subito i ricatti di lavori diventati umilianti e disonorevoli perché non garantiscono la sopravvivenza, sono stati sommersi nella palude tossica della periferia dell’impero.
E non potrebbe essere altrimenti se negli ultimi trent’anni non solo i salari degli italiani sono rimasti immutati, ma addirittura negli ultimi quindici sono caduti precipitosamente quanto il potere di acquisto che oggi interessa servizi, energia, assistenza, e mentre l’Europa si affanna a esibire la sua buona volontà misericordiosa col salario minimo che gli Stati potrebbero con tutto comodo accettare e applicare su base volontaria.
Per anni il riformismo progressista ci ha parlato della possibilità di ammansire se non addomesticare la belva capitalistica agendo per realizzare aspettative di qualità sociale.
Adesso non aspiriamo più nemmeno alla quantità: contro la povertà assoluta e disperata siamo disarmati, perché le condizioni di necessità negano libertà, autonomia, così come posticipano a tempo indefinito la tutela della dignità ma perfino della sopravvivenza. (1. Segue)
In attesa di Jean Valjean…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Si può vedere (!) :
Si può leggere (!) :
https://coniarerivolta.org/2022/06/16/la-bce-allassalto-dei-salari-parte-seconda/
EH …
https://twitter.com/Potemkin959/status/1537460132233322497
credo sia meglio acquistare 10000 metri di terreno agricolo, aprire una fattoria minima, per cui legalmente è esentasse, praticare orticultura, permacultura e goderne i frutti. polli, conigli, capre e pecore , canapa per fibre e vestiario, il ttto per occupare il tempo. dieci anni dopo, sarebbe interessante andare al cimitero a trovare i figli del job act e del draghismo, fornerismo, contismo, di ma(i)oismo…
lo chiamano progresso. devi comprare machine sempre piu’ costose e dispendiose, sempre rotte, comprate a rate che ancora esistono dopo che l’hai demolita e pagato per il riciclo. poi eran stupidi, arretrati, i nostri nonni che andavano col carretto e quando l’asino si stancava, esaurito, potevi accopparlo e farne bistecche, mangiarlo. sai, quelli erano selvaggi, stupidi. noi abbiamo il progresso, inestinguibile, sul quale paghiamo accise, tasse, assicurazioni e restiamo sempre con la gola arsa.
Condivido in gran parte… ma è il Capitalismo-Consumismo di questa disgraziata società, che andrebbe riformata nei suoi Notevoli Eccessi.