Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pare che per notti intere il «trilogo» dell’Ue — si chiamano così i negoziati informali tra rappresentanti di Commissione, Parlamento e Consiglio europei — abbia  discusso la direttiva sul salario minimo, basata su un accordo che non avrà carattere di obbligatorietà (l’Ue, hanno riconosciuto, bontà loro,  non può mica  entrare nelle buste paga dei lavoratori, salvo per sacrificarne una parte necessaria al consolidamento dello stile di vita occidentale), ma che stabilirà  il percorso per arrivare a salari «equi e adeguati» in tutti i Paesi membri.

Attualmente a venir meno a questo impegno siamo in compagnia di  Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia e Cipro.

L’intesa che dovrà ora essere approvata in via definitiva da Parlamento e Consiglio Ue, si propone “nel pieno rispetto delle diversità nazionali di favorire dei salari minimi adeguati nell’Ue e lo sviluppo della contrattazione collettiva”. Ma sul tema  dell’obbligatorietà, il commissario Ue al Lavoro, Nicolas Schmit, ha commentato la situazione italiana. “In Italia – ha detto – è in corso un dibattito molto forte e ampio su come rafforzare un sistema di contrattazione collettiva ed eventualmente introdurre un salario minimo. E noi non intendiamo forzare politicamente la situazione, ma contribuire al dibattito”.

Ovviamente Confindustria dice no: “Il tema non ci riguarda, l’importante è che non tocchi la contrattazione collettiva nazionale”, dice Bonomi che preferirebbe che si intervenisse sul cuneo fiscale, aumentando il netto in busta paga senza toccare il lordo, con minori entrate per lo Stato.

I sindacati sono divisi, Landini attento com’è alla reputazione del Paese nel contesto internazionale  teme che salari bassi e lavoratori precari senza diritti minaccino  la tenuta sociale e democratica del nostro Paese e dell’Europa e ostacolino la competitività. Il pensoso Bombardieri (Uil) è combattuto come suggerisce il cognome bellico:  “l’obiettivo, dice,  deve consistere nel  raggiungere il contratto collettivo nazionale di categoria, altrimenti faremmo un danno ai lavoratori, perché  le aziende potrebbero non applicare più i contratti con i diritti e pagare solo con il salario orario”, mentre icastico Sbarra (Cisl) taglia corto: “Il salario minimo in Italia non è utile.

La questione di salari umilianti e inadeguati a garantire un dignitoso livello di vita è da sempre al centro del dibattito politico e ideologico. È un argomento a carattere stagionale, ogni primavera ci vengono ammannite le lagnanze di esercenti che non trovano personale disposto a prestarsi per una paga avvilente, e ogni giorno la stampa pubblica il rammarico di imprenditori che denunciano i danni morali prodotti dal reddito di cittadinanza che induce svogliati giovani corrotti a dire di no alle loro generose offerte. Naturalmente sono gli stessi che si rifiutano di adeguare i salari al costo della vita, di investire in formazione per affrontare le sfide della competitività, che criticano la preparazione inadeguata di ragazzi che poi trovano invece collocazioni gratificanti all’estero.

L’impoverimento e la demolizione della forza organizzata dei lavoratori ha prodotto precarietà insieme allo stravolgimento dei fondamenti a cominciare dall’istituto del contratto minacciato anche presso i pubblici finora più protetti, affermando la piena subalternità delle remunerazioni alla dinamica dei profitti che si traduce nell’obbligatoria disponibilità dei lavoratori a accettare paghe sotto la soglia di sussistenza.

Così l’introduzione di un salario minimo è diventata una battaglia ideologica di retroguardia, un tabù della sinistra che lo ha considerato minimale rispetto a istanze di più alto respiro, ancora oggi sottovalutato, irrisorio e falso se guardiamo all’obiettivo ottimale  della piena occupazione.

E in attesa che si formi un poderoso blocco sociale capace di rovesciare il tavolo, non ci si adopera neppure per conseguire una soglia minima da cui partire,  che alcuni fissano in 10 euro l’ora cui aggiungere contributi, ferie, tredicesima mensilità e malattie, allo scopo di fissare uno standard di dignità e di ostacolare il meccanismo perverso dello sfruttamento.

Si, è vero, si tratta di un modesto aggiustamento, ma è legittimo pensare che potrebbe contribuire a ricomporre non solo con gli strumenti della contrattazione, un’occupazione che oggi è già largamente esclusa da quel contesto, precari, part time, rider, per smetterla di rimuovere la realtà di una parte sempre più consistente della società vive nell’illegalità e nell’illegittimità, fuori dai patti e dai vincoli collettivi, abbandonati dalle rappresentanze sindacali, quelle tradizionali, quelle di base ma anche una cerchia di piccole strutture di interessi che cercano di organizzare specifici settori sempre più ampi del mondo del lavoro.

Ora un rischio c’è ed è rappresentato da partiti, parti di Confindustria e del mondo di impresa e lo stesso Boeri chiedano un salario minimo garantito in forma di legge al fine di poter offrire alle imprese uno strumento in più per controllare la dinamica salariale schiacciandola verso il basso e permettendo alle aziende di governare il ciclo economico preservando il volume die profitti. Va in quel senso perfino una proposta della Lega che aggiunge come compensazione a un tetto minimo di 9 euro, la garanzia per le imprese di di tagliare il cuneo fiscale per rifarsi delle “perdite”.

È vero, il pericolo esiste, ma è altrettanto vero che si tratta di misure che esercitano un potere sostitutivo in presenza della totale impotenza del sistema di rappresentanza e tutela dei lavoratori, che sopravvive in una remota distanza dalla realtà, dai bisogni, dalle aspettative della gente. Che non conosce e non vuole cimentarsi con un nuovo tipo di sfruttamento legato al lavoro cognitivo, alla mobilità presentata come un vantaggiosa conservazione di autonomia.

L’anno scorso (2021) in Francia il salario minimo è aumentato tre volte (complessivamente del 5,9%), e i sindacati si sono posti l’obiettivo di arrivare a 2 mila euro al mese. In Spagna il salario minimo ha raggiunto i mille euro e le mensilità sono 14. In Portogallo, il sindacato ha chiesto un aumento da 705 euro al mese a 800. In Germania per gli 85 mila lavoratori delle acciaierie, il sindacato IG Metall sta cercando di ottenere un aumento dell’8,2%, e intanto i chimici-farmaceutici hanno ottenuto una ‘una tantum’ da 1400 euro. In Danimarca il sindacato Fnv sta cercando di fare aumentare il salario minimo da 10 a 14 euro all’ora.

Ovvio che occorre vigilare quando la magnanima Europa ci fa un’offerta che è impossibile rifiutare perché parla di diritti, mentre la volontà è quella di contrastare le nuvole che si stanno addensando su di noi con la loro pioggia di sacrifici, rinunce, i costi delle sanzioni e le spese del riarmo.

Ma questo è un compito che spetta a noi, magari cominciando a reclamare un minimo vitale di riconoscimento di paga e libertà.