Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nel solco della tradizione tutta italiana della commedia dell’arte, l’Arlecchino – o meglio ancora lo Zanni pasticcione e velleitario, o il Leporello – alla guida della Cgil ha rotto gli indugi e si è messo alla guida di una combattiva contestazione  nei confronti del governo Draghi, proclamando insieme alla Uil  uno sciopero generale di 8 ore per il 16 dicembre con una manifestazione a Roma contro la legge di Bilancio e le norme sulle pensioni e per reclamare, nientedimeno,   «una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile».

Proprio come nel teatrino  delle marionette con la corazza della buatta di pelati e con le spade di cartone a menar fendenti, che  strepitano contro il signore per poi implorare benevolenza e due baiocchi, nello stesso comunicato lanciano lo slogan dell’agitazione  “Insieme per la giustizia”  e al tempo stesso “apprezzano l’impegno e lo sforzo del Premier Draghi e del suo Esecutivo”, a riconferma che la pratica negoziale è stata retrocessa a miserabile compromesso con ogni probabilità contrattato grazie all’accordo degli attori che si sono distribuiti le parti in commedia in modo da trarre benefici reciproci in termini di consenso successo e  incassi al botteghino.

E difatti alla retorica roboante della piattaforma sindacale che tralascia i nodi centrali della politica dell’Esecutivo, dalla vergognosa pantomima del Pnrr che chiede in cambio del prestito esoso degli strozzini la neo austerità con la nuova tassazione sulla casa, la privatizzazione della sanità, la riduzione dei costi pensionistici a partire dall’abolizione di quota 100 e la mannaia sul numero dei dipendenti pubblici, la precarizzazione ulteriore del lavoro, all’inviolabile Legge di Bilancio che sta per essere adottata, dal Ddl sulla Concorrenza alle norme della semplificazione con la deregulation in materia di appalti, per ricorrere il trito mantra  ampolloso del riformismo neoliberista, rispondono Orlando che fa finta di essere colto di sorpresa, Draghi che reagisce all’insolenza con gelida irritazione, definendo lo sciopero “ingiustificato e immotivato”.

Tutto secondo copione, dunque quello che serve a mettere in scena la trama dei favori reciproci, con il Governo che grazie alla generosa concessione di una concertazione convertita in “consultazione”, meglio se a posteriori, promuove la parodia della cinghia di trasmissione tra rappresentanze e decisori, quella dei sindacati che con questi espedienti sperano di riacquistare una credibilità, in prossimità dei rinnovi delle tessere e per rispondere alla minaccia sempre più allarmante dei sindacati di base che hanno conquistato terreni abbandonati, quelli del precariato, dei lavoratori delle piattaforme, dei rider.

E che si tratti di un canovaccio frusto e logoro è dimostrato dalla nauseante cautela di Landini che a poco più di una settimana dallo sciopero rassicura l’alleato che si è allacciato a lui in un abbraccio protettivo dopo la fantasiosa aggressione alla sede, dichiarando totale disponibilità a “un confronto” che non può che essere “costruttivo”, ragionevole, fattivo per ambo le parti. E vedi mai che lo sia per i lavoratori, anonime e scialbe comparse sullo sfondo, al di sotto di un coro della tragedia greca, avendo perso diritto di parola e anche di manifestazione.

Non stupisce la coincidenza di interessi tra un regime incaricato di liquidare uno stato non più sovrano grazie a una selezione risolutiva che rafforzi chi ha, chi copre posizioni dominanti, chi può godere di appartenenza, rendite di posizione e  privilegi dinastici, e che indebolisca fino alla cancellazione sociale il capitale imprenditoriale (Pmi, aziende di servizio, commercio al dettaglio, artigianato e imprese agricole minori da cannibalizzare o privatizzare) e umano che non rende, improduttivo e “parassitario”, e rappresentanze che hanno abiurato alla loro funzione, che sopravvivono grazie alla trasformazione in soggetti di consulenza, agenti di vendita di fondi e assicurazioni, piazzisti del welfare aziendale e patronati.

Le due parti in commedia agiscono nel comune e reciproco interesse aiutati dalle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica e digitale che ha l’effetto non trascurabile di cambiare la natura stessa del lavoro, fisiologicamente condannato ad essere sempre più precario e “virtuale”, “agile” e immateriale, con il risultato di indurre anche nuove forme di alienazione, quelle dell’isolamento, della solitudine che impediscono agli sfruttati di riconoscersi, unirsi e solidarizzare, minando ogni tentativo di opposizione e reazione, penalizzate oggi più che mai grazie alla preclusione al “contagio” della politica, dell’amicizia, della coesione.

I nostri sindacati hanno quindi prese per buone le teorie alla Giavazzi-Alesina che per anni hanno sostenuto che la sinistra ormai deve riconoscere il liberismo come l’unico “sistema” possibile per garantire lo sviluppo, aprendo alla concorrenza le attività a contenuto sociale, un tempo protette, eliminando gli aiuto alle aziende inefficienti anche se si tratta di servizi alla collettività, premiando la meritocrazia, liberalizzando definitivamente il mercato del lavoro,  privatizzando in modo da assicurare “funzionalità e ed efficacia” delle prestazioni.

E, peggio ancora, ne hanno abbracciato i corollari che attribuiscano i danni: le disuguaglianze crescenti, il blocco della mobilità sociale, la fine dell’istruzione e della sanità pubblica, costi sempre più elevati e qualità decrescente dei sevizi, salari fermi o addirittura ridotti da trent’anni a vizi antropologici della popolazione, che non sa adattarsi alle sfide della modernità, che impone flessibilità, iniziativa, a fronte di fidelizzazione e obbedienza.

Non lo dicono, ma c’è da immaginare che auspichino una società pacificata e in sostanza, post-sindacale, senza reintrodurre il vecchio paternalismo ma godendo delle ricadute della cultura che esalta il lavoro autonomo e di conseguenza tutte le sue caricature, i lavoretti alla spina che offrono illusioni di indipendenza a chi si sente manager di se stesso scegliendo il percorso da effettuare per consegnare le pizze, di quella che attribuisce allo Stato il ruolo di garantire il funzionamento del mercato, e che non soffra della decimazione degli iscritti, soprattutto tra i giovani, coltivando il disinteresse della tutela collettiva e le virtù della competizione e della concorrenza.

Adesso, siccome non bastano le umiliazioni e le offese, ci toccherà anche assistere alla pantomima del Governo che condanna l’irresponsabilità di chi ferma l’Italia in piena emergenza perenne, peggio dei famigerati insurrezionalisti del No, e del sindacato che fa ostensione di senso civico, per farci credere, tutti e due i guitti, che hanno a cuore i nostri interessi.

Così cornuti e mazziati dovremo anche essere loro grati quando arriveranno a un gentlemen agreement, come si conviene tra uomini di mondo che fanno pagare le spese a noi straccioni.