Anna Lombroso per il Simplicissimus
Chiunque in questi anni si sia sentito tradito e svenduto dalle rappresentanze sindacali ormai dichiaratamente collaborazioniste, chiunque abbia interpretato il sussulto della triplice che addirittura minaccia uno sciopero per reagire alla porta sbattuta in faccia da Draghi (il secondo audace avvertimento dopo quello lanciato in occasione dell’obbligo di green pass nelle mense) come l’ennesimo teatrino dei pupi, o la sceneggiatura di una fiction, potrà trarre finalmente motivo di conforto e orgoglio dalla notizia che riporto qui. “Nessuna variazione, si legge su Repubblica, un Posto al sole, la fiction di Raitre, continuerà ad andare in onda alle 20.40”.
“La conferma dell’orario, esulta Gianluca Daniele (responsabile del progetto Mezzogiorno e Politiche Culturali della Fondazione Di Vittorio, istituto di ricerca della Cgil), è una vittoria dei lavoratori e dei sindacati che hanno difeso una nostra importante produzione”.
Chissà che soddisfazione per disoccupati, precari, donne in part time, giovani della zona grigia che non studia e non cerca lavoro, essere partecipi di questa conquista pagata in bolletta della corrente elettrica, poter continuare a godere di questo rito celebrato nella comfort zone del tinello, che regala edificanti quadretti di vita quotidiana, scansando al contempo un programma di informazione di Lucia Annunziata.
Basta accontentarsi. E difatti molti, se non proprio contenti, sono amaramente rincuorati che i deplorati fermenti contro il lasciapassare abbiano sortito l’effetto di sgombrare il campo da equivoci e nostalgie canaglie capaci di attribuire ancora una superstite credibilità simbolica a sindacati che avevano accettato la cancellazione dell’articolo 18, seguita da una cinquantina di norme e misure volte a favorire mobilità e precarietà, dal Jobs Act, dalla Legge Fornero, dallo sblocco dei licenziamenti, dall’indifferenza per battaglie in difesa del territorio, per vertenze di lavoratori atipici, per quei lunghi mesi nei quali è stata ufficializzata la differenza tra “essenziali” indifesi dalla proclamata pestilenza conferiti in luoghi e mezzi pubblici insalubri e gli altri, apparentemente protetti dal Grande Male ma esposti alla rovina allo scopo di obbedire agli ordini confindustriali che avevano stabilito chi serviva, settore bellico compreso, e chi no..
Mai, dopo la sottoscrizione della Carta del Lavoro il 21 aprile del 1927 con la definizione dei principi sociali della dottrina del corporativismo e dell’etica del sindacalismo fascista, la rappresentanza degli sfruttati si era piegata così platealmente ai comandi padronali e politici come adesso, quando si è fatta interprete di un antifascismo di superficie, di slogan, palloncini e Bella Ciao che, proprio come la pacificazione indotta dalla comunità “intellettuale” progressista, si muove nel segno del patteggiamento codardo, della concertazione e del ripristino della cinghia di trasmissione con i sacerdoti della governabilità.
L’importante in ambedue i casi è delegittimare qualsiasi pensiero e azione antisistemica, potenzialmente destabilizzante, criminalizzando perfino la violenza verbale e censurando critica e opposizione che potrebbero tradursi nel pericolo più temibile, il configurarsi di forme attive di lotta di classe, quella di una volta dei poveracci umiliati e derisi che alzano la testa contro il potere di chi sfrutta, accumula, espropria, inganna.
Da anni nei tavoli delle vertenze consegnate nelle mani di ufficialetti (i Calenda, le Bellanova) nutriti dall’Ichinopensiero, dalla weltanschauung di Giavazzi, dalla cultura pop di Sacconi col suo “siamo tutti sulla stessa barca”, i sindacati hanno interpretato il convitato di pietra che si rianima all’atto della rinuncia doverosa e responsabile, dell’abiura di principi e conquiste, sotto forma di sottoscrizione di patti scellerati e unilaterali. È successo con la resa a proprietà e dinastie private e manager pubblici ugualmente criminali, succede con ancora con l’Ilva, con l’Alitalia, con la burletta dell’intervento dello Stato risanatore raccontata dal valletto che portava le flûte di champagne agli ospiti del Britannia che festeggiavano la svendita dei gioielli di famiglia.
Come si può ancora dare fiducia a chi ha via via ridotto il ruolo di tutela e garanzia dei diritti e delle conquiste dei lavoratori, a negoziazione sempre più pavida, a concertazione e infine a manifesto collaborazionismo? E che recita un ravvedimento tardivo e inaffidabile all’inseguimento di organizzazioni di base ormai concorrenziali e di tesserati che scappano, insoddisfatti del nuovo ruolo ricoperto dalle rappresentanze: funzionari del welfare aziendale, promoter di fondi assicurativi e previdenziali, consulenti a gettone grazie alla proclamata indispensabilità dei patronati sbrigafaccende.
Tutto concorre a far sì che l’azione del sindacato si riduca -consenziente fino all’entusiasmo- a contrastare e proibire il conflitto legittimo, mentre si riserva indulgenza a quello di utili idioti mandati a interpretare il copione dell’antagonismo nero precursore di opposti estremismi in agguato, in modo che si accrediti la conversione di ogni contenzioso, ogni protesta e ogni bisogno conclamato in problema di ordine pubblico. Così secondo taciti ma espliciti accordi, viene lasciato spazio a qualche rappresentazione dei soliti guitti degni del telegatto, il premier intrattabile e la controparte irriducibile in quanto testimone e interprete di interessi popolari che recitano l’abituale canovaccio della baruffa che si risolve in onorevole compromesso.
E difatti a tre giorni dalla “rottura” il Draghi indisturbato ha presentato la sua manovra di bilancio, il cui impianto è talmente protervamente “antidemocratico” da consistere nella fissazione di una serie di titoli sui quali è chiuso il confronto, dal ripristino della Legge Fornero a dispetto della minaccia di sciopero della Fiom, impegnata sul tema caro alla quota maggioritaria di iscritti, in termini numerici ma con un potere contrattuale e politico pari a zero, alla riduzione del reddito di cittadinanza, dall’estensione dell’Ape alle maestre e alle estetiste miserabile accorgimento per rinviare misure globali di tutela della sicurezza, ai bonus per le facciate, giusto in coincidenza con lo sblocco degli sfratti.
L’esperienza recente ci insegna che è consigliabile, anzi obbligatorio diffidare di chi rivendica di essere portatore dei bisogni di lavoratori contro i quali chiama la polizia a ristabilire l’ordine, di chi sostiene che salario, assegni familiari, scatti di anzianità siano prerogative elargite a condizione di essere in possesso di una certificazione dello stato di salute che non ha nessuna finalità sanitaria, di chi da anni riconferma l’obbligo di arrendersi al sistema di sfruttamento e umiliazione della dignità personale e di popolo, in nome della necessità di garantire che venga appagata l’avidità di chi esige sempre di più.
Sappiamo come tutte dittature tendano privilegiare… vera limpida arte!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Si può leggere :
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_politica_filopadronale_del_fascismo_di_ieri_e_di_oggi/39602_43658/
Signora Lombroso, i suoi articoli sono interessanti e intelligenti, ma a volte è necessario rileggere un paragrafo due o tre volte per capirlo e non tutti hanno il tempo di farlo. Le consiglierei di usare frasi più corte. Una frase di 150 parole senza neanche un punto o un punto e virgola è quasi illeggibile per chiunque non sia un letterato. Grazie.
gentile Carlo Fontana La ringrazio del suggerimento, ma mi faccio un vanto di non allinearmi ai canoni espressivi di Twitter. E di non contribuire al processo di infantilizzazione e semplificazione del Paese promosso dalla stampa mainstream
ed è per questo, proprio per “non contribuire” e “non allinearmi” etc che accolgo gentaglia che insulta le donne.