Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci vuole proprio un bel coraggio a candidarsi sindaco, o una bella faccia tosta a ricandidarsi.

Oppure serve avere stipulato dei contratti di ferro con quelli che si torna a chiamare poteri forti che hanno offerto a ambiziosi in preda a un delirio di onnipotenza,  l’incarico di gestire città fallite economicamente, ingovernabili se non con misure di rodine pubblico, oggetto di negoziazioni che dichiarano perdenti in partenza le amministrazioni pubbliche.

Oppure arrivismo e autoreferenzialità hanno nutrito aspettative narcisistiche coltivate nelle stanze dei giochi  delle dimore di dinastie accademiche o imprenditoriali o culturali, condannando  ragazzotti inadeguati a perseguire sogni di grandezza sproporzionati.

C’è anche qualcuno che si mette in gioco – vorrei essere cittadina di Milano solo per votare Carlo Formenti – qualcuno che compie un atto simbolico contro l’ideologia del ritiro, quella che ha convinto tanti intellettuali della virtuosa bontà di stare appartati e guardare lo svolgersi degli eventi affacciati al davanzale della finestra mugugnando, accettando e rintanandosi nella convinzione che non esista alternativa possibile e praticabile al dominio neoliberista.

Qualcun altro, ed è un peccato,  persegue una sua ossessione, scende in campo a sostegno di una idea o di una causa che lo occupa e intride ogni suo giudizio, spesso nobilissima ma che si presta ad un uso compulsivo, come nel caso di Fabrizio Marchi, ammirevole profeta della lotta al politicamente corretto e ai tabù che genera ma che sconfina nel pregiudizio compulsivo nella critica indiscriminata al femminismo tanto da collocare al centro del suo programma la difesa dei maschi vittime di discriminazione da parte di una società “progressista” che privilegia le donne, le ex mogli, le megere e santippe.

Il quadro fa capire che la benevola concessione ad esprimerci durante uno stato di eccezione che non si sa quando finirà, in città dove i sindaci hanno usato limitazioni, distanziamenti, chiusure, stanziamenti dirottati da settori sofferenti per finanziare e incrementare il brand pandemico, strumenti sanzionatori e di repressione come alibi aggiuntivi a giustificazione di impotenza e inadeguatezza, incapacità e inefficienza, potrebbe nascondere, malamente, l’intento di indurre disincanto e disamore supplementare nei confronti della democrazia.

Non c’è da aspettarsi niente di buono da ricandidati o supporter di loro protetti che da due anni sembrano aver dedicato le loro forze a sanificare, a tirar giù e su serrande, saracinesche, parchi, musei civici, mascherine, a mobilitare la municipale per stanare corridori e : indimenticabili Merola di Bologna determinato a individuare e penalizzare  chi faceva jogging in “sacche di resistenza” da sgominare “in particolare nelle periferie, dove il richiamo del verde è molto forte”, che oggi dopo il secondo mandato propone la fotocopia Lepore; o Sala, il sacerdote celebrante l’apri e chiudi a intermittenza,  secondo i dogmi confindustriali, partecipe della controriforma della cattolicissima assessora lombarda che divide i cittadini in meritevoli e non di cure e di vita.

Il fatto è che mentre alacremente partecipavano della strategia delle autorità centrali, mentre godevano della sospensione democratica che limitava ulteriormente le residuali possibilità di controllo dal basso del loro operato, al tempo stesso pretendevano fondi e risorse per fronteggiare l’emergenza “sanitaria”, che, per ormai generale ammissione, è uno degli effetti delle malattie endemiche dell’Occidente: inquinamento, rifiuti, traffico e smog, demolizione del sistema assistenziale e di cura, trascuratezza dei più elementari criteri e requisiti di sicurezza nel lavoro, negli ambienti collettivi, nelle scuole, chiedendo però maggiore autonomia in modo da continuare nella loro opera di dissipazione criminale al servizio dei potentati.

Perché, è bene ricordarlo, dietro le quinte pandemiche, Sala era al lavoro perché non si sospendesse la svendita di Milano ai boss del cemento e del racket immobiliare  impegnati nella realizzazione della Gran Milan secondo i criteri dismessi anche a Dubai, e nell’organizzazione del flop annunciato delle Olimpiadi invernali, con gli stessi attori che entrano e escono dalle porte girevoli della speculazione e del malaffare. E Virginia Raggi si dava da fare per rispettare gli impegni presi, tanto per fare un esempio con Unicredit che doveva rientrare dal finanziamento con cui si era esposta verso il gruppo proponente dello Stadio della Roma e della proprietà dell’ex Fiera a colpi di centinaia di milioni, che l’obbligano a realizzare operazioni opache e speculative.

Nemmeno mi soffermo sui cassonetti straripanti, oggetto di una narrazione infinita che ha il difetto di sottovalutare la correità regionale, nemmeno sulle buche effetto collaterale di una politica degli appalti che grazie alle nuove misure non potrà che peggiorare, neppure sulle inadempienze criminali che riguardano le deleghe, anche quelle ereditate dalla Provincia, nei settori dell’assistenza e della scolarità, neppure sull’indifferenza dimostrata per il veleno di antichi bubboni infiltrati dalla malavita, quella riconducibile alla cosca di Mafia Capitale, Fiumicino per citarne uno.

Mentre a dispetto del ricorso a statistiche secondo il metodo Trilussa, in prossimità della sospensione degli sfratti, con tanto di vigenza di commissioni competenti, il numero di senza tetto rimane uguale e minaccia come al solito di diventare un problema di ordine pubblico, l’espulsione dei residenti dal centro storico prosegue inviolata così come nulla è cambiato nella situazione dei trasporti pubblici su cui nulla hanno potuto nemmeno le regole del distanziamento.

E nemmeno il Covid ha tirato fuori dal cassetto il programmi di “valorizzazione” dell’enorme patrimonio immobiliare inutilizzato: caserme, vecchie scuole da riconsegnare all’istruzione pubblica, fabbriche, locali commerciali, terreni pubblici da sfruttare in qualità di polmoni verdi e migliaia di vani vuoti e prossimi alla rovina frutto delle bolle immobiliari degli anni di una casa per tutti.

Sono direttamente interessata dalla ripresa dinamica scattata a orologeria un paio di mesi fa dei lavori della madre di tutte le corruzioni, secondo la definizione dell’ex presidente dell’Anac Cantone, la Metro C, al cui cantiere del Celio si dedicano instancabili le imprese che prima si presentavano saltuariamente, una mezz’ora ogni tanto battendo pali e movimentando carrelli in occasione di visite pastorali di qualche autorità.

In questo caso i residenti della zona sono afflitti da inquinamento atmosferico e acustica, senza nemmeno godere poi di una stazione in prossimità, perché le opere infinite riguardano gli interventi per il condizionamento e l’aerazione delle tratte, ma ciononostante hanno comportato già la cancellazione di un’area verde e il definito seppellimento di importanti ritrovamenti archeologici, a conferma della ideologia che ispira i 5stelle nei vari contesti amministrativi e che combina le lagnanze per le eredità pesanti con la volontà di non tornare indietro su decisioni e scelte a danno dell’interesse generale, giustificata dalla preoccupazione per non meglio definite sanzioni e penali ma motivata dall’arruolamento nell’esercito degli esecutori entusiasti dei comandi imperiali.

Qualcuno sostiene che il capitalismo si stia suicidando almeno nella sua forma tradizionale. Possiamo dire con certezza che a morire è stata la democrazia, per assassinio, ma anche per eutanasia e suicidio, assistito da quelli che avevamo eletto per rappresentarci e tutelarci, se pensiamo che l’unico successo rivendicato dalla sindaca di Roma è l’attivo di una delle aziende di servizio uscita dalla zona rossa secondo le regole del privato applicate al pubblico: tariffe più care, standard e prestazioni di servizio abbassati, premialità per le partecipazioni “esterne” e il management.

Queste elezioni, malgrado tutto, potrebbero servire, almeno a ricordarci che siamo stati espropriati di tutto e che è ora di far cadere il castello di intrighi, traffici e menzogne.