C’era una volta il Parlamento. Adesso si è trasformato in un’area di parcheggio contro la disoccupazione politica dove nominati spesso senz’arte né parte non pensano ad altro che a conquistarsi il vitalizio, mantenendo in piedi la legislatura a tutti i costi. Ed è facile perché i costi sono pagati dai cittadini e i programmi sono dettati dalla Bce, da Berlino oltre che dai potentati nazionali: non c’è nemmeno bisogno di pensare, operazione nella quale molti avrebbero serie difficoltà. La vicenda Renzi ha se non altro il merito di rendere chiarissima la situazione e di infrangere la vetrina di fraintendimenti: il Parlamento è ormai solo una copertura dell’oligarchia dominante e infatti quando bisogna decidere dei rapporti interni e dei governi, non c’è più bisogno di sfiducia, basta un pranzo da zio Giorgio.
Visto che l’immobilismo di Letta stava creando un vasto malcontento che avrebbe potuto riverberarsi alle elezioni europee o portare, dio ce ne scampi, a quell’atto irresponsabile del ricorso alle urne in mancanza di una buona legge truffa, ecco che si è puntato su un nuovo promettente personaggio, non prima però di aver regalato un bel mucchietto di miliardi alle banche. Il governo non è caduto in Parlamento ma nel boudoir del Quirinale dopo brevi consultazioni con quella decina di uomini al timone dell’Italia, Merkel compresa che di palle, lei sì, ne ha da vendere. Tanto che è riuscita a rinviare a dopo le elezioni le trattative per il salvataggio della Grecia dal terzo defaultSenza nemmeno una sfiducia pro forma, perché anche quella non sarebbe stata garantita al 100%. Così Renzi che dapprima non voleva salire a Palazzo Chigi, poi ha fatto finta di non volerlo e infine ha licenziato il premier in diretta, senza nemmeno degnarsi di delineare un piano d’azione, diventa la speranza di una durata ad oltranza della stabilità mortuaria. Ne ha tutte le caratteristiche: piace a Berlusconi con cui ha “profonde sintonie” , piace ai finanzieri che gli hanno passato quattro milioni in questi anni per farlo giocare alla ruota della fortuna, è vicino al popolo perché ha le stesse idee del barista sotto casa. Insomma non facciamo gli incontentabili e basta con la pretesa che questa debba essere una repubblica parlamentare, sono cose superate, roba da conservatori: sono sufficienti il partito azienda e il partito cooperativa.
E chi meglio di un figlio del berlusconismo che si dichiara di sinistra (battutaccia) potrebbe garantire la stabilità assoluta del declino? In fondo si tratta di passare dal nulla con le palle alle palle con il nulla. E piace a tutti anche perché si pensa che il giovane padroncino possa stroncare le gambe a qualsiasi noiosa opposizione che si metta di traverso, anche a quelle che potrebbero finalmente decidere di darsi una struttura politica, rinunciando ai piaceri un po’ fatui e palesemente inefficaci del gurismo. Che possa essere lo scattante gattopardo a garanzia che nulla davvero cambi.
Forse è per questo che a volte mi viene da pensare che i cacciatori di frodo hanno un loro perché.
Il 29 ottobre del 1929 crollava la Borsa di Wall Street. Quattordici febbraio 2014, crolla la nostra Democrazia .Questo fatto passerà ai libri di storia come il più nero del nostro secolo. Non ci saremmo mai aspettati di vedere crollare così miserabilmente un diritto sancito dalla Costituzione che recita testualmente: “L’Italia è una Repubblica parlamentare fondata sul lavoro”. Ma di Repubblica parlamentare è rimasta ben poca roba. Ad osservare i fatti che sono successi, non c’è da stare allegri. Netta è la sensazione che tutto sia calato dall’alto e i giochi di Palazzo talmente forti, da rendere inutile il diritto di votare. Per ben tre volte, c’è un avvicendamento a palazzo Chigi di un Presidente del Consiglio che ora vedrà coronata la testa di Renzi per dar vita, come egli afferma, ad un governo politico. Ma i governi politici si legittimano con il consenso popolare e non dentro una segreteria di partito. Altro che rivoluzione e rottamazione! Siamo in presenza di una bella restaurazione con tanto di sovrano che incoronerà ancora una volta la testa aristocratica di un prescelto. Ma da chi? Dai poteri finanziari, dai poteri bancari, da una lobby che fino ad ora ha lavorato per arrivare a questo? E come se non bastasse si parla di una legislatura che dovrà avere la durata di quattro anni. Mi chiedo se non si stia andando verso un’esasperazione della politica, per cui questo genere di politico è colui che un bel giorno si alza e decide che è tempo di assaltare il Parlamento. Affermare inoltre che Renzi è un buon comunicatore, che riesce a capire cosa vuole la gente, è l’equivalente di dire che in Italia c’è un solo partito capace di imporsi sulla scena politica. Eppure a considerare come tutto ciò sia avvenuto, e dai mugugni che ci sono, si ha la netta sensazione che ci troviamo ancora una volta davanti a un colpo gobbo, o colpo grosso, come recitava il titolo di una delle trasmissioni in auge su canale 5. Colui che ha voglia di cambiare strada e strategia certamente non si comporta come Renzi. Ormai l’Italia rischia davvero di andare sott’acqua come Venezia, lasciata a se stessa per l’incapacità di salvarla dalla furia delle acque. Ogni giorno che passa è come svegliarsi e ritrovarsi in una realtà che è diventata il peggiore incubo per chi non ce la fa più e decide di puntarsi una pistola alla tempia e farla finita. E che non ci sia la voglia di coinvolgere i cittadini in un’opera di cambiamento lo dimostra adesso quest’ennesimo atto di prevaricazione compiuto ai danni di un popolo tradito al quale non rimarrebbe altro che ubbidire. Intanto tra l’incoronazione e la scelta di una squadra attuata con i metodi di sempre, ci sarà ben poco da sperare. Si parla di mettere mano alla Costituzione, di abolire il Senato, abolire le province, sforbiciare organi dentro ai quali la democrazia finora era di casa. Non è un Renzi con questi modi da prevaricatore che determinerà il cambiamento. Se i metodi e gli uomini sono sempre gli stessi, la scelta sempre uguale, è come dire che in un cesto di mele buone lasci sempre quella marcia capace d’intaccare tutte le altre. Le rivoluzioni non sono i giochi di palazzo, le decisioni imposte, l’ammutinamento delle elezioni. Il consenso bisogna costruirselo in campo e questo non mi pare stia avvenendo. Sarà il caso di dire “Io non mi sento italiana”?.
Convincente analisi del signor Casiraghi.
Malauguratamente convincenti anche le previsioni!
Non credo all’immobilismo di Letta, come non credo al dinamismo di Renzi. A mio modo di vedere la crisi ha seguito questo copione:
1) Monti è stata la prima fase, che potremmo definire “Sangue, sudore e lacrime”, fase che ha avuto la funzione di spargere a piene mani panico ed elementi da shock doctrine tra gli italiani. A questo punto anche il più cieco dei nostri connazionali ha capito che qualcosa stava succedendo e si è messo spontaneamente in economy mode, spendendo il meno possibile, e in speriamo-che-me-la-cavo mode, preparandosi al peggio ma sostanzialmente accettando qualsiasi cosa provenisse dal governo come il meno peggio.
2) Siccome però si stavano avvicinando le elezioni tedesche e l’anno dopo quelle europee, non si voleva andare al voto, in entrambi i casi, con la gente atterrita e propensa a votare per movimenti estremistici, ed è quindi scattata la fase due: “La quiete dopo la tempesta”. Ecco allora venirci incontro la figura buona di Enrico Letta che con la sua aria calma ed equilibrata è in grado di diffondere ottimismo anche in una morgue. Quanto al suo immobilismo, è evidente che si tratta solo di una tattica. Letta non doveva fare nulla perché il suo compito era appunto quello, non fare nulla, e intanto far passare il tempo che separava la sua discesa in campo dalle elezioni europee. Per il resto, si è accontentato di contribuire alla shock doctrine in modo poco eclatante, quasi sotterraneo, attraverso leggi poco lette (pun intended) che rendono sempre più caotico per il contribuente sapere come pagare le proprio tasse senza commettere errori, cosa che verrà buona nella fase 4 (“Lo shock riprende”). Ma vediamo prima la fase attuale, che vede l’inconcepibile (in una democrazia) sostituzione del pacifico Letta con l’industre e industrialòfilo Renzi.
3) La fase 3 si chiama “Affiliamo i coltelli contro la lista Tsipras” e non era originariamente prevista. Ossia, nessuno avrebbe potuto immaginarsi che sarebbe nata un’opzione a sinistra della sinistra che appare sufficientemente poco estremistica da mettere a proprio agio più di un votante del PD. A questo punto, dopo qualche, immagino, convulsa telefonata tra il Dipartimento di Stato USA e chi di dovere qui da noi, si è deciso che il simpatico ma anodino Letta non aveva alcuna chance di galvanizzare i suoi portandoli al trionfo elettorale e andava trovata alla svelta una soluzione alternativa, se possibile, nel segno di un travolgente entusiasmo. Ed ecco allora arrivare Renzi, appunto, l’uomo del destino, che salverà il PD da una emorragia di voti non prevedibile ma pur sempre possibile, per cui è meglio non rischiare! Con Renzi al volante, il PD massimizzerà sicuramente il suo risultato elettorale perché è energico, sa mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, è pro-industriali ma anche pro-lavoratori e, soprattutto, perché ci metterà solo qualche secondo a rubare a Tsipras le sue stesse parole d’ordine e a proporre all’elettorato PD un quadro salvifico anti-austerità con incorporata una garanzia di moderazione che Tsipras non è ancora in grado di dare.
4) Finite le elezioni europee e raggiunto il risultato prefissato, partirà subito la quarta ed ultima fase: “Lo shock riprende”. Ossia, l’idillio durato quasi un anno e mezzo, e dovuto sostanzialmente a questo lungo periodo elettorale, verrà definitivamente archiviato e l’austerità in stile montiano ripartirà alla grande, anche perché deve recuperare il terreno perduto! Renzi, a questo punto, dovrà solo decidere se vorrà spendersi anche in questa fase, con la poco piacevole prospettiva di diventare l’uomo politico più odiato dagli italiani, o se invece lasciare il posto allo stesso Monti o a un altro personaggio che non sia così sensibile ad eventuali deterioramenti della propria immagine. Dopotutto, anche l’uscita di scena di Berlusconi alla fine del 2011 potrebbe essere spiegata dal suo desiderio di non voler essere visto come l’uomo che, dopo aver promesso milioni di posti di lavoro agli italiani, poteva diventare di punto in bianco il simbolo della disoccupazione e della miseria di massa.