Licia Satirico per il Simplicissimus

Per Bobo Maroni, barbaro sognante diviso tra la fedeltà a Bossi e la voglia di libertà, sembra giunto il momento della gloria: dalla sua pagina Facebook l’ex ministro degli interni prende in giro la vicepresidente del Senato e il suo amico-poliziotto-cantante-bodyguard, invocando una catartica pulizia di primavera. Pulizia è in effetti un termine riduttivo, tra appelli all’unità del partito, ribellioni della base, confessioni vendicative di segretarie mobbizzate e sfoghi tardivi di autisti-finanziatori. Dal feuilleton Lega emerge un malaffare complesso fatto di vizi privati e pubblici Suv, figli incontentabili, proclami xenofobi e investimenti tanzanici, titoli di studio immaginari e prezzolati, denaro occulto, occultismo danaroso e ristrutturazioni proditorie.

Triumviro alla guida del partito con Calderoli e la Dal Lago, Maroni si prepara a raccogliere l’eredità di un partito contaminato dagli stessi vizi della mitica Roma Ladrona. Resta da capire se Maroni sia un puro, un ignaro o un ingenuo. Lo scorso anno l’ex ministro si lanciò in una polemica con Roberto Saviano, dicendosi offeso dalle “parole infamanti” dello scrittore sulla presenza politica ed economica della ‘ndrangheta in Lombardia. Parole “frutto di un evidente pregiudizio verso la Lega”, a detta di Maroni, secondo cui la criminalità organizzata ha ancora una forte connotazione regionale: un po’ come certi movimenti politici secessionisti, insomma. Niente mafia al nord: solo efficientismo, celodurismo e un po’ di razzismo d’accatto, perché non esiste deterrente più potente della Lega rispetto a una criminalità che vive di amministrazioni compiacenti e corrotte. A Matrix l’ex titolare del Viminale dichiarava: «la Lega è il partito degli onesti. Non sopporto la generalizzazione di chi butta fango su di me e sul mio partito senza avere la possibilità di dimostrare che quello che dice è vero».

La polemica, si sa, finì a strette di mano e pacche sulle spalle: invitato a partecipare alla trasmissione di Saviano, Maroni ammise a denti stretti che qualche rischio di infiltrazione della criminalità organizzata al nord c’era, ma rassicurò gli italiani sulla presenza paterna e combattiva dello Stato.
Beh, Maroni si sbagliava, e oggi sappiamo fino a che punto: il tesoriere della Lega Belsito era in contatto con ‘ndranghetisti del temutissimo clan De Stefano. Mazzette e rimborsi elettorali confluivano nei proventi di estorsioni e grandi traffici internazionali. Intermediario tra leghisti e ‘ndranghetisti era, tra gli altri, un avvocato vero come la laurea di Rosi Mauro, tal Bruno Mafrici, consulente del Consiglio dei Ministri ai tempi non lontani in cui Belsito era sottosegretario del ministero della Semplificazione normativa. Erano gli stessi tempi in cui Maroni era ministro degli Interni e non si accorgeva di nulla. O non sapeva nulla, da sognatore quale si dichiara.
Sul rapporto tra sogni e politica nell’epoca dei “tecnici” si potrebbe discutere, se solo non ci fossero ben altri nodi da sciogliere. Sarà perché sognatore leghista suona ossimorico, fatto sta che è difficile immaginare un ex ministro che vive ai margini del suo partito, ignaro di irregolarità contabili e di gestioni allegre del denaro pubblico. Non si comprende se Maroni ci è o ci fa, se la pulizia che invoca sia un uragano destinato a travolgere i monconi del Carroccio o solo un tentativo disperato di salvare il salvabile prima delle elezioni amministrative: la crisi della Lega è tra la tempesta shakespeariana e lo Sturm und ‘ndrangheta, e non si sa cosa ne verrà fuori.

Se la magistratura dovesse confermare le gravissime ipotesi di reato in corso di accertamento, potremo registrare un caso più unico che raro di collaborazione tra criminalità organizzata e disorganizzata. Starà a noi cercare di capire se si sia realizzata un’infiltrazione della ‘ndrangheta nella Lega o della Lega nella ‘ndrangheta: nel primo caso avremo un paradosso culturale del Carroccio, i cui affari erano cogestiti da noti terroni; nel secondo un paradosso subculturale delle ‘ndrine, costrette ad accettare partner in camicia verde pur di fare affari. La criminalità organizzata non è xenofoba, gestisce al centesimo i suoi bilanci senza possibilità di errori e controlla il territorio con efficienza impressionante. Ma tutto questo Bobo non lo sa.