Da quando il turismo ha sostituito il viaggio, è molto difficile avere un rapporto reale con la mancanza di democrazia: tutto scorre su epidermidi di cieli azzurri o di fotografie scattate con attenzione spasmodica al tipico, al curioso, all’etnico, vive in una esperienza da voyeur per l’eccitazione di un momento, come fossimo noi stessi della stessa sostanza delle immagini, colorati esseri bidimensionali. E poco importa quanto “intelligente” possa essere il tour , quanto ci affanniamo a comprendere “la realtà del posto”: il turismo è un modo di essere, usato quasi sempre per evitare la nostra realtà, tanto che spesso ci accorgiamo di essere turisti in patria.

Invece  ricordo come se fosse ieri il mio primo impatto con una dittatura, trascinato a 14 anni in Spagna da mio padre  che si era tardivamente e inopinatamente innamorato del Don Chisciotte. Impatto morbido, quasi inconscio, stemperato lungo polverose carreteras, cucito sui comici cappelli da torero della guardia civil, ma che trovò il suo centro davanti a una indicazione stradale a Madrid. Non so dove, ma suppongo in centro, una targa informava che quella era l’ “Avenida Francisco Franco Bahamonde, Caudillo de España por Gracia de Dios y voluntad del pueblo”. Fu proprio quella scritta ad illuminarmi: la volontà del popolo veniva dopo un ipotetica investitura divina che in quanto tale poteva ricevere solo una conferma e non poteva essere contraddetta. Infatti l’aggiunta del popolo era posticcia, quasi una liturgia inferiore che annunciava la presenza di fedeli alla messa cantata del potere. E la loro rassegnazione di fronte a qualcosa che non potevano cambiare.

Quel momento di improvvisa consapevolezza mi è tornato in mente in questi giorni di discussioni sull’articolo 18, ma anche sugli altri provvedimenti, nelle quali c’è un grande assente: il popolo. La natura dei ricatti – questo o quest’altro non si tocca – la manfrina squallida del mi posso dimettere, la tracotanza con cui si lodano e s’imbrodano, sono rivolte esclusivamente a un parterre politico la cui rappresentatività nulla è dimostrata per l’appunto dalla presenza di un governo tecnico, frutto di combine di palazzo e della assoluta ostilità verso le elezioni. Il popolo non esiste, anche se i sondaggi fingono che ci sia, non è contemplato nell’ideologia che sorregge l’esecutivo, così come non sono prese in considerazione  le sue difficoltà, le sue speranze, le sue sofferenze e men che meno i suoi diretti. E quando Monti parla di buon lavoro si rivolge ad altri potenti posti altrove e sembra che parli di qualche vuoto saggetto da pubblicare quanto prima. Nelle centinaia  di dichiarazioni di questi mesi da parte dell’esecutivo, c’è di tutto dalla millanteria, alla bugia sfacciata che approfitta della benevolenza dei media, al nascondimento delle vere cifre a cui dovremo far fronte grazie agli impegni scellerati presi in Europa, ci sono stati solo due accenni al popolo

Il primo per richiamarlo come uno scolaretto e il secondo, proprio di ieri, per dire che non è pronto a comprendere le sublimi manovre messe in atto per salvarlo, ossia per il massacro che dovrebbe contribuire a stabilizzare la finanza europea. E dico dovrebbe perché questa idea risiede solo nelle teste della bundesbank e dei suoi valletti. Ma si capisce benissimo che l’approvazione è considerata solo accessoria un gadget.

Il popolo ha creato la prima Repubblica, si è fatto bue per celebrare i fasti della seconda e ora, in vista della terza è scomparso per divenire manodopera a basso costo, numeri per la finanza, gallina da spennare nei taccuini degli azionisti.  Se potesse esserci un cartello stradale che celebri questa dittatura “necessaria” e diffusa, non sarebbe nemmeno necessario citarlo, visto non è neppure chiamato a recitare l’amen sui provvedimento che lo impoveriscono e ne cancellano i diritti. E del resto potrebbe mai dire di no di fronte al pantheon di dei che lo opprime e dei suoi messaggeri di carta e di tv che traducono il verbo senza minimamente pensare ad analizzarlo?

In fondo un dittatore in carne ed ossa ha in qualche modo bisogno di avere e/o di simulare un consenso che  faccia da turibolo e da scenografia alla Gracia de Dios, allo stato di eccezione, alla necessità, insomma alla divinità dalla quale discende incondizionatamente il suo potere. Ma la dittatura diffusa del pensiero unico non ne ha più bisogno, come non  l’hanno i travet che lo rappresentano. Il popolo è una voce incontrollabile che è meglio eliminare dalla partita doppia della politica  e dell’azione di governo: più lo spenni e lo intimorisci con i salmi finanziari, meno farà sentire la sua fastidiosa presenza. E per giunta si risparmia sulle targhe stradali.