Ho perso la mattinata a leggermi i giornali tedeschi on line sul naufragio della Costa Concordia, notizia che ha preso le prime pagine visto che sulla nave c’erano 500 passeggeri tedeschi. A Berlino si sono aperti nella notte due comitati di crisi: uno per il naufragio della città galleggiante e l’altro sul naufragio della politica economica di Angela Merkel.

Francamente mi aspettavo che nelle centinaia di commenti emergesse il sarcasmo sulla disorganizzazione italiana, la leggerezza con cui si è portata la nave sugli scogli, la totale impreparazione dell’equipaggio, ma anche la disorganizzazione a terra che tuttora impera. Invece con mia sorpresa molti interventi riguardano la ricerca di mega profitti che induce a costruire navi da crociera altissime e con un equilibrio precario, a fare poca manutenzione e  a imbarcare personale non addestrato. Un male dal quale evidentemente nessuno si sente più al riparo.

In effetti dal naufragio avremmo molto da imparare sia su queste logiche di fondo, sia sul fatto evidente che questo Paese di tutto ha bisogno fuorché di alimentare meccanismi che favoriscono l’incompetenza e la disorganizzazione: i bassissimi salari, la precarietà dichiarata e quella grottescamente nascosta dalle furbate di Ichino, il lassismo dei controlli per favorire potentati, la disorganizzazione che nasce spontanea da questi terreni di coltura, l’idea della scuola come qualcosa che abbia a che vedere col business, il licenziamento facile anche per chi ha esperienza, però costa troppo per l’avidità di padroncini e consigli di amministrazione.

Ma invece di imparare anche dagli eventi tragici ci stiamo preparando a fare del Paese e del suo equipaggio una gigantesca Costa Concordia, dove il basso costo dovrebbe sopperire alle carenze e all’inconsistenza dell’insieme, lasciando una struttura in equilibrio già precario in balia di qualsiasi intoppo o emergenza, esposto ai naufragi e  senza nemmeno i salvagente, dicendoci per giunta, guardate com’è moderno. E per fare questo si chiede ovviamente Concordia.