In questo momento provo vergogna. Vergogna per il governo di Berlusconi che di fatto ha permesso a Marchionne  di mettere in piedi le premesse per una fuga della Fiat dall’Italia. Provo vergogna per quella parte di opposizione che si è subito allineata ai diktat dell’uomo con il maglioncino, armata di luoghi comuni. Provo vergogna per i sindacati bianchi e pii, che lo hanno guardato con simpatia nella sua opera di distruzione dei diritti. Provo vergogna per chi ha creduto alle baggianate che diceva. Provo vergogna per quei fantasmi degli eredi Agnelli che si sono messi mano a un manager mediocre. Provo vergogna per lo stesso Marchionne che non riesce a vendere auto né qui né in America e che di notevole ha solo il disprezzo per il lavoro.

Provo infine vergogna per un Paese che stolidamente si è fatto incantare dal sogno americano di un opportunista la cui specialità è la vendita di fumo. E che adesso finirà per perdere una delle sue più importanti basi industriali.

E proverei vergogna e ira se il nuovo governo appena insediato, desse in qualche modo via libera  alla disdetta del contratto nazionale dato oggi dalla Fiat: qualcosa che non soltanto cancella 60 anni di relazioni industriali e di lotte, non solo qualcosa che attiene alla civiltà del lavoro, ma che è anche un pretesto per andarsene dall’Italia e nascondere gli errori colossali di un management e di un padronato non all’altezza.

Almeno si trovi il modo di far restituire alla Fiat le migliaia di miliardi spesi da questo Paese per mantenerla in vita e gli errori clamorosi di una politica e di un sindacato che hanno permesso alla Fiat di spadroneggiare e di impedire per decenni che venissero in Italia anche altri costruttori. Il conto da presentare a è enorme. Poi vengano i cinesi che se non altro vogliono costruire e vendere e che certo saprebbero sfruttare il talento italiano. Che Marchionne crepi in mezzo alle Chrysler che sono considerate dagli stessi americani tra le peggiori auto del mondo. Sarebbe  finalmente l’uomo giusto al posto giusto.