Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un milione di tessere del Pdl.. ecco a questo successo si riferiva il candidato premier promettendo un milione di posti di lavoro. Più sfrontato di Gava, più sgangherato di Lauro, ha esteso la pratica di corruzione a tutto il tessuto sociale, trasformando i cittadini in consumatori ricattabili e ricattati, in teleutenti addormentati, la democrazia in mercato, la partecipazione in affiliazione, il consenso in fedeltà cieca.

Un’amica di Frosinone che vuole restare anonima racconta di aver subito un diktat inesorabile: prendi la tessera se vuoi continuare a lavorare qui, da precaria, ovviamente, che così la si può più facilmente minacciare, corrompere e taglieggiare. Eh si Frosinone è una delle zone che registra una più potente pressione della criminalità organizzata, non quella dei padrini con la coppola, no, ma di quelli in blazer blu, col cravattone e solerti sodali in banca, in qualche sindacato, in comune, alla Asl, perché è là che le mafie si alimentano, allargano le loro cerchie, investono e riciclano, condizionano senza bisogno di bombe incendiarie. La violenza non è sempre sanguinosa e cruenta:in tempi di poteri immateriali, ha la soave aerea astrattezza della finanza, della comunicazione, del telelavoro e della tele disoccupazione, della persuasione e dell’omologazione. E d’altra parte, dicono, anche i diritti sono indefiniti, incorporei, e in tempi di fame e privazioni obbligatorie non ci si può farcire un panino.

E non è casuale che nel giorno del precipizio rovinoso, del baratro spalancato ad accoglierci, il segretario del Pdl dirami i risultati trionfalistici sulla potenza dispiegata del suo esercito di annichiliti, ricattati, coartati, spremuti. L’orrore di questo ennesimo oltraggio non risiede nel fatto che possano essere finte tessere, anime morte o false sottoscrizioni, ma che invece siano in gran numero solo dei povericristi ottenebrati da illusorie e effimere soluzioni istantanee al loro dramma di vivere nel bisogno e nell’incertezza. O esplicitamente soggetti a coercizioni, estorsioni, più rozze e perentorie ancora dell’offerta di una scarpa o della metà banconota, da completare post elezioni. È nello spirito di questa plutocrazia d’altra parte ricorrere a una narrazione mediatica e spettacolarizzata di un modello di esistenza fatto di scorciatoie e promesse al posto di speranze, visioni, conquiste e di rinunce ai diritti in cambio di labili privilegi. E mostrare una muscolarità minacciosamente persuasiva e perniciosamente rassicurante, quella del “ghe pensi mi”, del “sostenete le mie aziende perché da loro dipende il vostro benessere”, quella che dovrebbe convincerci che dal loro profitto privato derivano benefici per l’interesse generale.

Perché loro ci vedono come un gregge, una plebe da adulare piuttosto che soddisfare nei legittimi bisogni, un “target” cui offrire la convinzione catartica che l’appannaggio arbitrario e la licenza di pochi sempre più tracotanti possano essere pretesa e libertà discrezionale di molti, in barba a regole, leggi e equità.
Sospettiamo delle offerte commerciali, un numero sempre più esiguo di babbaloni si fida di Vanna Marchi e di altri tele imbonitori, eppure c’è da temere che una buona schiera di disperati sia disposta a comprare sogni taroccati da questi venditori di un futuro meno credibile dei derivati. E tanti altri sembrano essere incantati altra muscolarità altrettanto rischiosa e altrettanto autoritaria. Eppure li abbiamo già testati: banchieri grigi e salvifici, quelli che ci hanno rovinati per il loro avido profitto, che si autoinvestono della nostra sobria e oculata redenzione; imprenditori che hanno saputo solo investire in accumulazione ebbra e dissennata che scendono in campo per la salvezza del sistema Paese.

Oltre che indignati cominciamo a essere diffidenti. Impariamo da loro, aumentiamo le pretese e diminuiamo il credito.