Chi avrebbe immaginato che un tiranno nordafricano fosse così vicino agli umori della destra, quella che ha introiettato lo scontro di civiltà e la xenofobia, ma anche quella che si riempie la bocca di libertà e ama invece la dittatura? La vicenda libica, mentre rivela l’assoluta inesistenza di un governo pensante, ma solo una schiera di voraci desideranti di infimo livello, è però un’efficace seduta psichiatrica dalla quale emerge lo stato comatoso dell’idea di democrazia.

Che vicenda di Gheddafi colpisca personalmente Berlusconi è scontato, visto che gli interessi personali erano pienamente coinvolti nel patto scellerato con il tiranno, ma l’inopinato rifiuto della guerra che viene espressa dalla base del pdl peraltro tetragona nel sostenere tutti gli altri conflitti nei quali siamo stati e siamo coinvolti, è qualcosa che inquieta.

Dietro non ci vedo affatto il germe di una nuova consapevolezza sulla futilità ed estemporaneità dell’azione di governo e sull’inettitudine dei suoi membri, ma solo una spontanea e irreprimibile simpatia verso l’autoritarismo che in questo caso ha tutto il destro di sfogarsi liberamente attraverso il “canale”  psicologico reso disponibile dalle contraddizioni del premier e della sua corte dei miracoli.

Il compiacimento che traspare in alcuni giornali dell’opposizione per questa “contestazione” all’idolo che parte dalla base, mi sembra pericolosa perché se da una parte conferma  il deterioramento d’ immagine del Cavaliere, dall’altra mette in luce quanto abbia messo radici il protofascismo di una notevole fetta di società che si aggrappa alle stupide speranze dell’uomo solo al comando.

Certo si può essere contro la guerra, ma di certo non Gheddafi. Nemmeno in nome di un supposto e vergognoso senso di interesse: con i nuovi assetti del nordafrica il “tappo” all’immigrazione garantito dal colonnello vale praticamente zero, perché le vie dei migranti sono cambiate. E questo anche uno che vota pdl può arrivare a comprenderlo. Lo hanno compreso persino i leghisti che pur continuando ad amare il tiranno libico, hanno spostato il loro ricatto sull’Europa.

No, dentro questi umori di base c’è quel groviglio di inettitudine alla democrazia che la società italiana ha sempre espresso in qualche modo, ma che adesso appare in tutta la sua nettezza e in tutta la sua pericolosità per il futuro. Perché anche liberandosi di Berlusconi, non si ci si libererà della tendenza a volere un Berlusconi. O perché no un colonnello: la Libia siamo noi.