Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ci sono accadimenti inattesi che si prestano ad interpretazioni e letture dietriste. Stamattina non ricordo dove ho letto una decodificazione aberrante secondo la quale la massima autorità dello stato avrebbe reso un servigio consapevole al premier rimandando il federalismo alle camere dove il più votato e il più virile degli italiani ha la maggioranza. Così me lo sono girato anch’io un film dietrologico, immaginando che in quel laboratorio di bricoleurs pasticcioni che tagliano incollano e piallano leggi improvvisate e avviano procedure spericolate e dilettantistiche, abbiano pensato che forse la miglior via d’uscita era produrre qualcosa di inaccettabile, un mostro indistinto e incongruo, un oggetto già rifiuto all’origine. Per quello forse Calderoli ne è orgoglioso, perché a quelli della lega e ai loro contigui piace soprattutto la furbizia terragna, l’artificio da scarpe grosse e cervello fino, particolarmente attrezzato per aggirare regole, dirimere lacci e laccioli, stornare voci in bilancio, buttare liquami nei fiumi e evadere le tasse. O forse non è proprio così ma certo quel decreto sul federalismo municipale, nato come pesce che voleva essere cavallo secondo la immaginifica chiosa del presidente della consulta, era affetto sì da un vizio d’incostituzionalità, era sì democraticamente “indecente” perché rappresentava uno schiaffo esplicito e sonoro al Parlamento, era inoltre giuridicamente inopportuno,violando i cosiddetti limiti “ulteriori” della delega, sui quali la Consulta si è pronunciata migliaia di volte negli ultimi decenni.
Ma in modo folgorante ha anche simbolicamente testimoniato del disprezzo che la lega e il premier, cui sia pure meno ostinatamente continua a fare riferimento, ha per le forme della democrazia quando sono esemplari di quella sostanza della quale sono fatte la carta costituzionale e le leggi del paese. Quelle forme nelle quali istilla il veleno della corruzione che assume le caratteristiche dello sprezzo per la dignità delle assemblee legislative, che si materializza nella proliferazione aberrante dei decreti, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti che hanno finito per erodere la stessa libertà dei parlamentari, attraverso una trama sotterranea di sotterfugi e di tranelli, mediante una violazione sistematica delle regole scritte e non scritte che compongono il la pratica e l’esercizio istituzionale democratico. Io non credo che questa vocazione allo spregio dello Stato e delle istituzioni nasca solo da un disegno elettoralistico, dalla vocazione a rappresentare il popolo delle partite Iva, dall’istinto anche un po’ animale, che Bossi interpreta con una certa sapienza, di occupare quell’elemento territoriale con una specie di corporativismo cieco, campanilistico che Tremonti ha definito “protettivo”, perché infatti tutela istanze di parte, di segmenti di popolazione e di privilegi non sempre democraticamente leciti e quasi sempre lesivi delle leggi della solidarietà e dell’equità. No, io credo che la lega rappresenti una faccia, rozza, volgare e sopraffattrice quanto le abitudini sessuali del premier, della modernità che piace a Forza Italia certo ma anche a Marchionne o alla Marcegaglia. A quelli cioè che chiamano modernità un sistema di sopraffazione che si regge sui capisaldi dell’egoismo, dell’individualismo, della prepotenza ricattatoria e che si avvale di percorsi sbrigativi fatti di manipolazione delle norme e delle leggi, del dominio dispotico del consumismo, dello spregio dei valori etici e della condanna dell’equità e della solidarietà, come orpelli ideologici da rifiutare.
E il successo di questa concezione e della lega che in un certo strano modo arcaico la rappresenta è segnato proprio dal riconfermare una sua appartenenza territoriale che sancisce particolari diritti e li conferma per chi vi è nato e costituisce una maggioranza, per voto per opinione o per tradizione. E dal rappresentare quella mutazione che sembra aver trasformato una parte dei cittadini in individui incerti e impauriti, antisociali e tirannici, apatici e indifferenti verso i destini della comunità umana più larga, quella che sta al di fuori della “fortezza” nella quale custodiscono i loro interessi e privilegi. Il loro particolarismo ha prodotto un terribile spaesamento e invece bisogna tornare dentro al paese, dare forma superiore alla solidarietà sociale, all’unità nazionale e alla coesione come la risposta più efficace al populismo privatistico disgregante.