Stamattina nell’aria di vetro che invadeva le finestre, mi sono reso conto di quanto il berlusconismo si sia infiltrato nelle intelligenze e negli umori come una tossina di cui non ti accorgi e che cominci a produrre in proprio. Col caffè in mano ho ascoltato un noto autore e umorista, rinunciare all’ironia per fare la paternale ai ragazzi di Roma.
Niente di strano, direte, tanto più che in Italia ci sono più padri che figli, singolare aporia del calo demografico. Tanto più che le paternali costano niente e magari fruttano pure qualche soldo. Però alle volte esse rivelano che i padri ne capiscono meno dei figli, anche se aspirano ad avere una qualche autorità.
Così il caffè mi è andato di traverso quando per l’ennesima volta ho sentito parlare delle virtù del dialogo messe in ombra dagli scontri, come se stessimo parlando di due persone o due entità sullo stesso piano e non invece di studenti che per farsi ascoltare non hanno che il casino e un governo invece che proprio non vuole ascoltare. A chi lo diciamo dialogo? Ci vogliamo proprio prendere in giro?
Ma insomma, passi questa ambigua paciosità in bilico tra Andreotti e Sordi. Quello che però è seguito è molto peggio perché dimostra a quale punto di disgregazione sia giunta la democrazia reale.
Dunque l’umorista ha aperto il cahier des dolences delle vetrine infrante e delle macchine bruciate, ma soprattutto dei disagi inflitti a cittadini che non c’entravano nulla. Ora dubito che nella capitale di questo disgraziato Paese l’intera cittadinanza non abbia nulla a che vedere con i problemi dell’università e della ricerca o con quello del precariato e, in poche parole, con quelli del futuro.
La questione, vorrei suggerire all’umorista, riguarda tutti, non è affatto una estemporanea lite condominiale tra un milieu politico di cialtroni fascisteggianti e gli studenti, qualcosa di cui nessun altro dovrebbe interessarsi. La democrazia e il senso di appartenenza allo Stato, non nascono da singole contrattazioni di sapore privatistico : tutto si tiene e tutto interessa tutti. Questa è la vita civile ed è anche la politica.
Ma la tossina del berlusconismo impone che le questioni divengano private anche quando sono collettive, che la società venga frantumata in mille isole, in universi separati facilmente dominabili, nascondendo i legami che si sono fra di essi. Così che alla fine un ritardo del bus finisca per essere messo sullo stesso piano di questioni vitali. Tutto si risolve nel non dar fastidio oltre che nella retorica del dialogo impossibile.
E naturalmente con l’orgetta di un potere che ha esautorato il Parlamento e si serve della legge come di un fatto privato, come dimostra il Daspo che si vorrebbe mettere in pratica anche per le manifestazioni politiche.
Però alla fine non funziona, tutto questo è forse valido per il bon ton, ma non certo per le questioni che sono aperte nel Paese: perché se a una città non interessa nulla degli studenti, perché agli studenti dovrebbe interessare la città? E così via per le mille questioni aperte. No, davvero non funziona.
Anzi all’umorista sfugge che le manifestazioni e gli scontri danno fastidio proprio per il pericolo che qualcuno cominci a vedere che non sono solo fatti loro, che s’inneschi un dubbio a partire da un coinvolgimento personale, anche banalissimo.
Di battute ce ne sarebbero da fare, se non dovessimo piangere anche per gli umoristi.
da una banca qualcuno si aspetta che ci faccia sorridere, ricordi? dagli umoristi che “ce facciano ride'”. dai poeti che ci facciano sognare. invece prevale l’uso improprio. le banche ci fanno piagnere, in politico ci offre visioni poetiche, gli umoristi ci fanno la morale. una gra confuusione regna sotto i cieli.
E’ da parecchio che mi chiedo da che parte del teatro si sta, se sul palco o tra la platea… Amarissime queste tue considerazioni. Ma vedi, Alberto, troppo spesso si dimentica che “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”…