Se si volesse avere una prova della nascita di una leggenda metropolitana non c’è che da aprire l’Espresso, nella pagina dedicata alla gastronomia e che per un eccesso di provincialismo viene titolata Food&Wine.

Pazienza, anzi be patient, for heaven’s o come vi pare. Comunque nei dintorni del giorno del ringraziamento, viene offerta una ricetta per cucinare il tacchino, immancabile sulle tavole americane nel fatidico giorno. La golosa preparazione viene ripresa da una foodblogger (ci risiamo), tale Laura Evans, la quale nell’introdurre la ricetta   sostiene seriamente che il tacchino era cosa quotidiana sulle tavole romane e greche. Purtroppo il mio settimanale preferito non si fa scrupolo di riportare tale e quale questa fesseria nella sua “storia del tacchino”.

Noi sappiamo che il tacchino prima di Colombo viveva solo nell’America settentrionale e centrale. Ora da dove questa Evans prende la clamorosa notizia che la scoperta dell’America va datata duemila anni prima?  Dall’immaginifico dizionario gastronomico di Alexandre Dumas. La blogger non specifica se padre o figlio così come l’anonimo autore del pezzo di “approfodimento”.

Così ve lo dico io: si tratta del padre, creatore  dei “Tre moschettieri” e del “Conte di Montecristo”, donnaiolo impenitente , figlio di un generale napoleonico mulatto. Personaggio strampalato che fa parte anche del nostro Risorgimento in quanto fornitore di armi per Garibaldi, autore di una monumentale “Storia dei Borboni” di Napoli, nonché padre di parecchi scugnizzi, a quanto pare.

Insomma si tratta di una semplice e forse voluta confusione tra i pavoni di cui gli antichi erano ghiotti e i tacchini.

Ma chi leggerà il pezzo penserà che invece la cosa ha  un fondamento, magari si chiederà come mai i tacchini siano scomparsi dall’Europa per riapparire dopo un millennio. E già mi immagino la mole di Atlantidi e di alieni pronti ad essere messi in campo, così come la straordinaria coincidenza che la lunghezza media del becco del tacchino, elevata alla 21 potenza, rappresenta la distanza del sole da Sirio (qualsiasi lunghezza elevata all’opportuna potenza la rappresenta, ma questa è un’altra storia).

Ora se è così facile entrare in confusione sui tacchini, se lo fa il maggior settimanale, pardon magazine, del Paese. figurarsi su cose un po’ più complesse com’è facile diffondere favole. Eppure guardando il primo tacchino d’Italia, non c’è dubbio che sia di origini americane. Ed è anche certo che una volta cotto a puntino sarebbe davvero perfetto per un nostro giorno del ringraziamento.