Mi sfugge il motivo per cui Filippo Penati si sia dimesso da capo della segreteria politica di Bersani, dopo l’esito delle primarie di Milano. Mi sfugge lo dico per carità di patria perché delle due l’una: o le primarie sono vere competizioni e allora queste dimissioni non hanno senso, oppure sono soltanto un modo per spacciare un candidato imposto dai vertici come libera scelta degli elettori. Solo nel secondo caso l’esito imprevisto di Milano giustifica  le dimissioni.

A questo punto sarebbe bene che la si smettesse di prenderci per una parte già ampiamente abusata dal Cavaliere e dolente: o si stabilisce che le primarie sono un metodo e una risorsa, oppure si abbia il coraggio di negarle. Persino questa seconda ipotesi sarebbe meglio dell’ambiguità e del gioco a rimpiattino tra democrazia interna ed egocentrismo degli apparati.

Viviamo talmente in mezzo alle menzogne  che anche  il solo sospetto di essere coinvolti in una sceneggiata diventa intollerabile.

Per una volta cerchiamo di fare una scelta netta, chiara comprensibile, senza quel dilaniarsi amletico nel tentativo di far stare assieme due cose diverse e opposte. Perché alla fine si rischia solo di non ottenere né l’una, né l’altra.