Il Papa dice che la Chiesa non deve e non vuole fare politica, occupandosi a tempo pieno di verità eterne. E la stessa cosa dice la Cei proprio mentre dà indicazioni politiche. Strano che i nasi non si allunghino a dismisura, anche se siamo sicuri che ciò è dovuto a un qualche intervento metafisico e miracoloso. 

Fatto sta che quando nell’estate scorsa è uscita l’enciclica “Caritas in veritate”, un’ ennesima navigazione in quel patchwork che viene normalmente definito come dottrina sociale della Chiesa, la politica è stata fatta eccome. Non tra le righe sentenziose ed evanescenti del testo, a metà tra il pastorale e l’heideggeriano, quanto invece nella sua distribuzione.
Il documento era  dedicato a tutti gli uomini di buona volontà e quindi ci si sarebbe aspettati che esso come dono di meditazione, fosse stato distribuito in via ufficiale a tutto il milieu politico italiano.

Non è così: il testo è stato inviato solo ai ministri del governo Berlusconi, gli unici evidentemente ritenuti degni e dotati di “bona voluntas”.  Agli altri, nisba, così imparano ad essere di sinistra e a considerare lo stato laico. Assieme all’enciclica è arrivato anche l’invito a un ritiro spirituale, in considerazione della ineccepibile moralità dell’esecutivo. Non sappiamo se Mara Carfagna, la Prestigiacomo, la Brambilla si siano fatte tentare da questo appuntamento, anche se apparentemente più portate alla bona voluptas.  Se Bondi e Cosentino abbiano meditato o Brunetta abbia proposto tornelli conventuali.
Ma con questa scelta, finora rimasta sottotraccia e mai evidenziata, il Vaticano ha parlato molto più chiaro che nell’enciclica stessa, mostrando le sue preferenze politiche che invece più che mai sostiene di non avere. Più che un etica del mercato, si cerca un mercato dell’etica.