Anna Lombroso per il Simplicisssimus
Ogni giorno immancabile arriva una notizia che conferma la transizione accelerata da povertà, a povertà assoluta a miseria nera.
Oggi ce la propone il virtuoso e alacre Veneto dove sta per essere finalmente introdotta la figura del medico di base a pagamento. L’intento è nobile: ridurre le file d’attesa, introdurre un tariffario per le prestazioni che contribuisca a ostacolare gli abusi di anziani parassiti che pretendono prestazioni eccezionali, razionalizzare la somministrazione dell’antinfluenzale e dei vaccini futuri, al tempo stesso premiando l’attività straordinaria dei medici più “osservanti” disposti a un remunerativo cottimo. Il test inizia da Treviso dove da mesi si lamentano carente di personale sanitario specializzato ma ci si augura che presto venga poi sperimentato in tutta la Regione.
Ma la salute non era un diritto inalienabile di tutti e per tutti? non ci hanno per più di due anni convinti che giustificava la rinuncia a altre garanzie e prerogative? Macchè, pare proprio per ottenere certi servizi sia doveroso e fatale pagarli, applicare un modello di assistenza che disegni le figure del paziente di serie A, più produttivo e capiente, potete giurarci, e quello di serie B, che si merita le liste interminabili, le attese, il “dica 33” allo smartphone.
Chissà se si può far risalire a una data precisa la definitiva trasformazione della coesione sociale in carità e della solidarietà di pietà. Certo ormai perfino Istat, Cnel, enti di ricerca delegano le moleste notizie sull’indigenza nelle sue forme e graduatorie a enti benefici, terzo settore che infatti anche in futuro perfino con il Pnrr assumerà un ruolo sempre più cruciale, insomma al fronte dei misericordiosi, per via un potere sostitutivo che abbiamo concesso, non volendo vedere il fondo buio della catastrofe nella quale stavamo precipitando, tutti.
È plausibile farla coincidere con la stagione delle privatizzazioni, e poi con la distopia del Grande Reset impegnato a distinguere meriti e accesso facilitato alle opportunità. Ma poco conta. Conta che non abbiamo voluto accorgercene, che abbiamo pensato a torto di poter stare ricoverati in una tana di miserabili privilegi conquistati o conservati con assoggettamento e obbedienza.
I calcoli del rapporto Caritas 2022 sulla povertà e l’esclusione sociale in parlano chiaro: in 14 anni, dal 2007 al 2021, il numero di persone in povertà assoluta (secondo la definizione dell’Istat: “Sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile”), così più si è piccoli (1,4 milioni sono bambini e ragazzi) e più si è vecchi (il loro indice di povertà assoluta era già passato infatti dal 4,5% del 2019 al 5,7 % del 2020) e più si è poveri, è più che triplicato, passando da 1,8 milioni a 5,6 milioni (il 9,4% della popolazione).
È un destino ormai, una condanna senza perdono e intergenerazionale: la povertà ormai sembra essere un codice che si tramanda. Secondo i sociologi “il 59% di chi oggi è povero è cresciuto in famiglie povere (il 66% al Sud)”. E l’ascensore sociale funziona solo in discesa “con il 48% di persone povere e a basso titolo di studio che sta peggio rispetto ai genitori», tanto che il presidente della Caritas italiana ha calcolato «nel nostro Paese servirebbero almeno cinque generazioni per uscire dalla povertà, nel Nord Europa ne bastano due».
Arriva come un pugno nello stomaco per qualcuno la cognizione che non vede più l’inquilino che gli aveva confessato le difficoltà di pagare la pigione, che passa davanti al bar del “solito” con le serrande tirate giù. Sono i desaparecidos silenziosi e vergognosi delle antiche e nuove miserie: il recente report dell’Istat “Condizioni di vita e reddito delle famiglie” rileva che il reddito medio delle famiglie, rispetto al 2007 anno in cui scoppiava la crisi finanziaria ed economica, è ancora inferiore del 6,2%, che è il Sud a pagare il tributo più pesante perché qui la percentuale di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è del 41,2%, stabile rispetto al 2020 (41%), che l’incidenza del rischio di esclusione sociale è molto più elevata tra gli individui che vivono in famiglie con cinque o più componenti e questo dato è addirittura in crescita: 38,1% contro 36,2% del 2020 e 34,3% del 2019, e che ammontano almeno a un milione e 151 mila famiglie con due o più componenti senza redditi da pensioni o da lavoro.
Eppure non c’è giorno che un Renzi non sfidi una Meloni per vedere se ha gli attributi per cancellare il reddito di cittadinanza, non ‘è giorno che l’osceno tradimento sindacale non si arricchisca di una nuova volonterosa bugia accortisi, è la Barbaresi della CGIL che parla, che si è accorta casualmente proprio nella giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, che la retrocessione a disagiato e diseredato è “una condizione che riguarda anche una parte importante del mondo del lavoro. Bassi salari, precarietà, part time involontario non solo non mettono al riparo dall’impoverimento, ma ne costituiscono una causa, ed è proprio l’Inps ad attestare che un lavoratore su tre ha una retribuzione annua lorda sotto i 10 mila euro”.
Non andiamo poi molto meglio con le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) che hanno allestito a Casale Garibaldi, uno storico spazio sociale di Roma, “un coworking dove smart workers, lavoratrici e lavoratori autonomi possono condividere spazi di lavoro, dando vita a un’esperienza di ricomposizione del multiverso del lavoro contemporaneo e un driver organizzativo del sindacalismo sociale”. Ci sarebbe quasi da ridere tra multiverso, metaverso e presa per i fondelli, se non venisse legata a questa sperimentazione futurista la possibilità di costruire in questi luoghi la lotta per difendere il reddito di cittadinanza.
Una ricerca dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), denuncia che il 45,8 per cento dei percettori del reddito di cittadinanza sono “lavoratori poveri”, occupati quindi ma costretti a chiedere un’integrazione salariale allo Stato per via di paghe “da fame”, della normalizzazione dell’anomalia dei contratti a tempo determinato, dell’impiego del part-time involontario. Intanto alle porte di Roma su centinaia di famiglie grava il ricatto intimidatorio di espropri speculativi, il territorio è devastato, ogni temporale suscita timori fondati di catastrofi imminenti, nell’era del nuovo Medioevo.
Fatto di per se deprecabile di medici di famiglia “a tariffa”… potrebbe in realtà girarsi in evento favorevole poiché ormai medici di famiglia sono da tempo una canea di incapaci incompetenti quando no direttamente in malafede (vedi vicenda vaccinale covid)… per cui una minore frequentazione di certi “medici” no potrà certo danneggiare granché nostro generale stato di salute…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Porca miseria!