Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualche giorno fa il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, del quale abbiamo ammirato l’indole riservata che lo caratterizza quando in occasione della sua candidatura a sindaco non ci informò per la sua proverbiale discrezione  e nel rispetto della privacy, sui contenuti del suo programma elettorale, ha reso noto di essere stato operato di cancro.

Per questo compleanno, ha scritto su Facebook,  mi sono fatto come ‘regalo’ l’incontro con il tumore”,  aggiungendo che chi lo conosce  sa quanto sia sempre stato maniacalmente geloso del suo privato, ma motivando la sua scelta di rendere pubblico un aspetto così intimo per via della viva preoccupazione  della moltitudine dei suoi fan che avevano notato l’allarmante  assenza dalla rassegna stampa che tiene su RadioLeopolda. “Ho pensato, quindi, anche per cercare di evitare quel compassionevole chiacchiericcio che non amo per nulla, di comunicarlo io  direttamente, nella semplicità che la cosa rappresenta”, ha scritto, cogliendo l’occasione per rivolgere il suo “grazie più grato” a Marco Gradi, il suo medico di famiglia, che con il suo scrupolo maniacale l’ha obbligato agli accertamenti necessari e allo staff dei chirurghi che l’hanno operato.

Negli stessi giorni l’onorevole Boldrini ha ripercorso a un anno di distanza le tappe del suo calvario sanitario, la scoperta, grazie a un impagabile staff medico, di un condrosarcoma con la minaccia della mutilazione dell’arto interessato, poi l’intervento riuscito di un chirurgo eroe capace di operare per 15 ore, la terapia intensiva e la riabilitazione. Anche lei da subito ha ritenuto giusto comunicare la sua esperienza in modo che la malattia non diventi un tabù vergognoso, anzi un’occasione di riflessione e “una battaglia di civiltà”, come quella che ha condotto perché il giro dei medici in ospedale non iniziasse con il fatidico “buongiorno a tutti”, ma con una più corretto “a tutte e tutti”.

Bisogna ricordare che l’antesignana delle rivelazioni delle proprie disavventure cliniche che ha dato la stura all’ostensione di ecografie di gravide eccellenti, alla esibizione di cartelle cliniche, culminate nelle pubblica esposizione di cerotti dimostrativi di senso civico e spirito di servizio, fu Emma Bonino, che dal 2015o ci ha aggiornati in tempo reale sugli sviluppi della sua patologia introducendo anche dei canoni e degli stilemi estetici  in forma id audaci copricapo tra il turbante e il velo islamico, mantenuti come sua griffe anche dopo la conclusione felice della sue storia clinica.

Ma negli anfratti del gossip da anni si parla della potere di influenza formidabile della “malattia” tra aspiranti premi Strega, aspiranti accademici, aspiranti Donatello, aspiranti assessori che elemosinano un riconoscimento in vita prima della drammatica dipartita, opportunamente rinviata una volta ottenuto il posto o la statuetta.

Adesso però queste condivisioni per proprio vissuto hanno assunto un aspetto pedagogico e morale. Merito della narrazione pandemica che ha svolto il compito educativo di esaltare i miti del Progresso e della Scienza, edificanti e ottimistici perché volti a persuadere il pubblico della bontà delle delega a chi sa e dunque è in grado di svolgere una funzione salvifica, sacerdoti che hanno a cuore la nostra salute e il nostro benessere, nei quali è doveroso confidare a dimostrazione della loro affidabilità minacciata da ignoranti, terrapiattisti, misoneisti posseduti dai demoni del cospirazionismo.

E difatti tutte queste tre allegorie rievocano solerti sanitari, instancabile personale animato da spirito di sacrificio, prodigiose tecnologie avveniristiche, ma anche di una cultura dell’ascolto dei bisogni, di costante presenza profusa allo scopo di limitare i danni della paura e della sfiducia.

Parlano di un mondo a elevata qualità sociale, civile e umana a distanza remotissima dal nostro, da medici di base che da due anni hanno rotto il sodalizio coi malati insieme al patto deontologico che hanno stretto dedicandosi alla professione medica,  da sanitari che hanno rinnegato dovere e responsabilità accettando di buon grado di non visitare i pazienti e di somministrare da remoto tachipirina e vigile attesa, da ospedali che hanno compiuto la scelta definitiva di convertirsi in lazzaretti, lasciando nell’abbandono e della trascuratezza malati gravi colpevoli di non generare i guadagni  straordinari permessi dalla gestione pandemica, di liste d’attesa per accertamenti che concedono appuntamenti a distanza di sette-otto mesi, di pronti soccorso che lasciano languire l’infartuato in attesa del doveroso tampone, di ricoverati che per giorni e giorni non possono godere del conforto dei familiari, di clinici che con spocchiosa tracotanza negano informazioni ai parenti degli assistiti e agli stessi pazienti, forti del regime di esclusiva che cementa la loro intoccabile superiorità.

Perché stupirsi se con la stessa sicumera la comunità scientifica nega l’evidenza, manipola le statistiche, censura le fonti, lincia gli eretici, li espelle dalle associazioni di categoria e dagli ordini, in modo da rendere sempre più impermeabile e inviolabile la loro corporazione, inattaccabile da chi pretende la verità sui danni cui è stato esposto grazie a scelte sciagurate, incuranti, per salvare le loro posizioni e le loro rendite, che tutto questo contribuisca a generare diffidenza e sfiducia, probabilmente soddisfatti che il primo effetto certo sia che i cittadini si rivolgano a un più bendisposto sistema privato, nel quale pagando si possono ottenere quei trattamenti speciali oggi erogati solo a personalità pubbliche, in forma di privilegio riconosciuto e dovuto.

Un altro effetto è quello della normalizzazione della malattia, finalizzato a introdurre la necessità fatale della medicalizzazione totale della società, dove la prevenzione ormai interdetta come un lusso proibito, si traduce in vaccini periodici, nella manutenzione di un equilibrio mentale garantito da psicofarmaci e droghe a norma di legge, in distanziamento sociale fertile della rottura di vincoli, di isolamento che impedisca il riconoscimento tra vittime che potrebbero trarre forza dall’unità di intenti e lotta.

Lo so, proprio questi due anni hanno dimostrato che ci sono, condannati all’emarginazione e alla clandestinità, scienziati, medici onesti, per usare un termine desueto, che prendono sul serio la loro professione, che  non obbediscono a un mandato, a una missione, a una vocazione, semplicemente fanno con soddisfazione il loro lavoro, oscurati da una informazione che combina la retorica con la propaganda e da testimonial di eccellenza che ci vogliono convincere che la malattia ci rende uguali.

Mentre proprio nella malattia si sviluppano le più oscene differenze, le più delittuose gerarchie tra meritevoli, essenziali e superflui improduttivi e parassitari.