Anna Lombroso per il Simplicissimus

Dal primo marzo un gran numero di italiani, non vaccinati, vaccinati con due dosi, guariti non riconosciuti, superdosati irriducibili fanatici del rispetto di diritti e libertà, saranno ancora di più stranieri in patria. Al contrario di visitatori esentati dagli obblighi di tampone e quarantene, che contano di sfruttare, meglio degli indigeni ricattati e intimoriti, i tratti antropologici di una nazione e della sua etnia che, quando le regole sono troppo severe o ingiustificate e comunque ingiuste, mettono a frutto la loro proverbiale creatività trovando fantasiosi espedienti e immaginifiche licenze in attesa che forze esterne li salvino da deludenti uomini della provvidenza.

A essere sospettosi si potrebbe pensare che l’esaltazione pubblica di questa disuguaglianza di trattamento aggiuntiva alle tante risponda a una sofisticata operazione di marketing programmata per invogliare la clientela forestiera a venire in un Paese dove sarà accolta e accudita come si conviene da un personale addestrato all’obbedienza e alla servitù umiliante in cambio di modeste remunerazioni e di mance ed elemosine da rimborsare in balzelli e tasse. In fondo si potrebbe fare la stessa considerazione a proposito della retorica infingarda sul nostro “petrolio” artistico e culturale, abbandonati, trascurati e oltraggiati come il territorio esposto a catastrofi periodiche, trasformati grazie alle leggi dell’emergenza in bottino offerto a acquirenti di ogni latitudine a prezzi scontati.

Sottintendendo che la svendita dei beni comuni sia l’unica soluzione praticabile per uno Stato e una collettività che non vuole e “può” mantenerli e rispettarli e lasciando intendere che se i cittadini stessi non ne hanno cura, i visitatori sono autorizzati a trattarli con la stessa indifferenza e insensibilità.

Alla divinità enigmatica ancora assisa su un trono traballante non erano arrivati finora gli echi dei fermenti dei margini e neppure quelli del tessuto produttivo del Paese in crisi, occupato com’è a far sentire la sua voce in mezzo al berciare degli alleati.

Eppure  Assoturismo Confesercenti aveva reso noto come  nel solo 2021 abbiano cessato l’attività 4.116 imprese della ricettività e dei servizi turistici, il dato peggiore degli ultimi cinque anni. E le chiusure non sono state compensate da nuove aperture: in dodici mesi sono nate solo 1.916   imprese turistiche, per un saldo negativo di meno 2.200 aziende. E’ peggiorato anche il bilancio dei servizi turistici, che nel 2021 segna un saldo negativo di -844 imprese: nel 2019, l’anno prima della crisi, il bilancio tra aperture e chiusure era stato di -366.

A soffrire nel 2021 sono state soprattutto le regioni del centro, con un saldo negativo di -1.290 imprese. Pesa la crisi della Capitale e del Lazio che ha perso oltre mille imprese e  della Lombardia (-158 imprese), che  patiscono gli effetti dell’economia pandemica  sul turismo dall’estero e con l’azzeramento pressoché totale di quello legato al lavoro e agli eventi e alle fiere di settore.

Ma ecco che venerdì scorso l’esule da Bruxelles, che, pur costretto a misurarsi con la cialtroneria italica, sa mostrare la sua magnanima grandezza, ha risposto al grido di dolore del comparto turistico  « ancora in sofferenza, in particolare gli alberghi delle grandi città, dove il turismo non ha ripreso. Abbiamo in mente tante cose, il nostro compito non è finito».

A dimostrazione di buona volontà, ecco dunque la prima misura, niente tamponi e quarantene,  per attrarre tardivamente i visitatori che pare abbiano già provveduto a prenotarsi in Spagna, Grecia e Portogallo, dove da giorni è stata decretata con la fine della pandemia quella dei disonorevoli strumenti di repressione e discriminazione, e dove tra l’altro esiste una minore presenza militare Nato, con basi missilistiche, armamenti radioattivi e soldataglia con effetti  decisamente scoraggianti, quanto l’inevitabile aumento dei prezzi imputabile alla crisi energetica, che dobbiamo sopportare per elevati principi morali nel rispetto di un diritto internazionale le cui regole sono scritte col sangue dei sudditi.

Vi ricordate quando proliferavano i toni arcadici dei delicati vagabondi mascherati che riscoprivano la bellezza delle città deserte riconsegnate finalmente agli intenditori? quando alla narrazione apocalittica faceva eco la voce dell’ottimismo che doveva persuaderci che, dopo, nulla sarebbe stato come prima, che la tragica emergenza si sarebbe tradotta in opportunità di redentivo cambiamento epocale, che giocoforza sarebbero cambiate le regole delle sviluppo per adattarlo ai bisogni di una umanità più consapevole dei suoi limiti?

Va dato atto che in forma più realistica questi messaggi di riscatto morale si sono ridotti alla ripetizione zelante dei soffietti europei a sostegno dell’inviato speciale a Palazzo Chigi, ridimensionando il sollievo per il passato pericolo grazie alla festosa irruzione nell’immaginario di nuovi epici rischi globali.

Così anche la ricostruzione promessa è stata collocata nel contesto ossimorico della distruzione creativa, le lusinghe a un settore che era stato continuamente promosso a vocazione e talento nazionale si riducono a qualche ristoro e a qualche licenza, in modo che non si intervenga sul modello dominante che trae profitto dallo sfruttamento delle risorse, dalla precarietà dell’occupazione, da servizi che combinano pessima qualità e costi elevati e non competitivi.

Un effetto positivo c’è, il ridimensionamento della distopia turistica che immaginava un’Italia ridotta a parco tematico, a ambientazione di un nuovo Rinascimento messo in scena da chi ipotizzava di convertirla in un Resort globale, nella Meta su misura per consumatori d’élite, proprio come auspicato dal Terzo Reich. Così ci si augura che con la fine delle restrizioni ridiventi invece il terreno di scorrerie dei forzati del low cost e delle crociere,  l’itinerario stabilito dei pellegrini che scelgono lo sfondo del loro selfie tra le location delle serie Tv.

E cosa potremmo aspettarci da decisori che pensano di aver riguadagnato la reputazione internazionale scalfita dall’immagina di centri storici svuotati, case vuote, città senza identità, territori distrutti e inquinati, grazie a una leadership costruita sugli obblighi autocratici, sulla discriminazione dei cittadini, su uno stato di polizia inteso a instaurare un sistema di sorveglianza totale, e sulle disuguaglianze.

La risposta su come la cupola oligarchica intende il turismo del futuro “sostenibile” e digitalizzato la si trova nel Pnrr che ai progetti d’investimento della Missione 1 “Turismo e Cultura”   assegna  complessivi 2miliardi e 400milioni di euro con “il  duplice obiettivo di innalzare la capacità competitiva delle imprese e promuovere un’offerta turistica basata  un innovazione e digitalizzazione dei servizi, con il miglioramento delle strutture ricettive e dei servizi collegati, la realizzazione di investimenti pubblici per una maggiore fruibilità del patrimonio turistico, il sostegno al credito per il comparto turistico e incentivi fiscali a favore delle imprese del settore”.

Quali siano i destinatari della politica di aiuti si sa: i soggetti incaricati, a cominciare da Cassa Depositi e Prestiti, hanno già scelto i loro target secondo i criteri vigenti, grandi catene strutturate, agenzie e piattaforme multinazionali, imprese immobiliari e cordate del cemento impegnate da anni a promuovere l’espulsione dei molesti residenti per rinnovare il volto dei centri storici, progetti di grandi opere e grandi eventi sui quali indirizzare  finanziamenti sottratti alla manutenzione e salvaguardia del territorio, padronato che conta su benefits e incentivi per aumentare i profitti già favoriti dallo sfruttamento di personale precario e stagionale.

A chi si aspetta la salvezza concessa da qualche entità esterna e sovrannaturale, parafrasando sindaci di città minacciate di diventare  solo “destinazioni” si potrebbe rispondere che i marziani eviterebbero di venire qui, “per non fare la fine degli italiani”.