Anna Lombroso per il Simplicissimus

Devo confessare che, già da prima dell’ultime esternazione del sicario di Palazzo Chigi, avevo cominciato a nutrire una certa avversione per la categoria dei nonni, e la conseguente retorica,  salvo la solidale ammirazione per qualche immaginetta controcorrente di vegliarde indomite sulle barricate dei No, no-tav, No-triv, No-Nato. Quelle, cioè,  che la stampa locale di tutte le latitudini da anni liquida come “nonnine delle Br”, assimilandole sbrigativamente all’insurrezionalismo rincoglionito, di Agamben e Montagnier che devono essere salvati da se stessi grazie ai servigi di discepoli frustrati e risentiti.

È che da tempo non c’è masterchef che non sia stato avviato alla lasagna scomposta dall’ava che in linde cucine li indottrinava all’arte delle sfogline anche ai Parioli o a via del Vivaio;  non c’è influencer che non sia stato guidato negli impervi sentieri del pensiero forte da nobili vegliardi domestici che hanno forgiato le loro convinzioni morali.

Inutile dire che come in tutti i campi i venerabili maestri albergano solo nei quartieri alti, sostano irriducibili in consigli di amministrazione che non vogliono disertare per nessun motivo al mondo,  mestano e rimestano in atenei, giornali e settori cruciali per favorire le carriere delle loro dinastie, anche e soprattutto se immeritevoli, in veste di mentori , protettori e finanziatori graditi, al posto del Mondo di Mezzo dei genitori, abitualmente, almeno a guardare le serie di Netflix, consegnati al lettino dello psicoanalista per svariate turbe che, sembrerebbe, saltano una generazione.

Eh si perché c’è anche questo da dire, le radici gradite dalla narrazione corrente sono quelle, a evitare padri troppo occupati e mamme ambiziose impegnate a conquistarsi una carriera e riconoscimenti, e genitori riluttanti a uscire dallo status di figli.

Secondo la retorica vigente, pare sia così perfino quando scendi i gradini della scala sociale mai così ardua e inerpicata dai tempi del feudalesimo, creando un vasto target di orfani virtuali, di padri, madri e nonni, perché là, invece,  i venerandi maestri di vita diventano anche loro oggetto di risentimento pubblico e privato, in quanto improduttivi, buoni solo a cedere fatalmente il poco che sono riusciti a conservare alle “generazioni future” per compensarle di quello  che hanno “scialacquato”, vivendo al di sopra delle possibilità,  assimilati automaticamente ai parassiti che pesano sul bilancio statale colpevoli di vivere troppo a lungo.

Da tempo quindi hanno dovuto rassegnarsi fatalisticamente a subire una forma surrettizia di selezione e soluzione finale, che mica si possono intasare gli ospedali, le liste d’attesa, le corsie di gente che la sua vita l’ha fatta. E allo stesso modo è stata esercitata una moral suasion perché affrettassero i riti del ritiro dal lavoro per favorire il turnover, perché si rifugiassero in case di “riposo” ultimamente diventato anche eterno, in modo da lasciare il tetto  a figli e nipoti per abitarci o per trasformarsi in imprenditori di se stessi in veste di locandieri e affittacamere.

Pensate a che vergognosa società abbiamo contribuito a creare se è stato fissato un traguardo negativo per la maggioranza della persone, arrivati al quale è lecito espropriarli di tutto a cominciare dalla dignità, dal diritto di parola, da quello a manifestare salvo nelle convention dei sindacati preoccupati di ostentare i propri tesserati eccellenti,  trascurati dalla “democrazia”  perché hanno un peso irrilevante, oggi nullo grazie alla sospensione delle cerimonie elettorali.

Pensate a che sistema abbiamo sopportato senza opporci secondo il quale le risorse maturate con il lavoro e accantonante, vengono elargite secondo regole sulle quali non abbiamo diritto di parola, come fossero donazioni e non come remunerazioni date in gestione a un ente che applica criteri arbitrari e autoritari.

Pensate a come si intende la “salute” come status necessario alla collocazione nel mercato, circoscritta alle qualità per “faticare” e superflua quanto costosa quando invece si tratta di relazioni affettive, di appagamento di desideri e aspettative, almeno a vedere le misure messe in atto per “proteggere” i nonnini dal contagio della vita, con distanziamenti, isolamenti, solitudine profilattica.

E dire che fino a poco tempo fa erano loro i consumatori, i viaggiatori, i visitatori di musei e i frequentatori di teatri, tanto che sono diventati via gli attori principali degli spot, tra integratori prodigiosi, pannoloni efficienti, detergenti per dentiere, telefonini coi tasti grandi, particolarmente presenti nell’advertising natalizia, come insegna l’esempio di Draghi pronto anche al travestimento col berretto rosso e il pon-pon tra le renne e gli gnomi del suo governo perenne, pur di vendersi al colle.

Partecipano alla scomparsa, virtuale e non,  dei vecchi dall’orizzonte anche del futuro prossimo e della società i loro coetanei che vivono in condizioni di privilegio, quello garantito da un passato che consente loro di rivendicare un primato morale.

Li abbiamo visti come avanguardia della regressione in forza al progressismo neoliberista, profondersi in ammirazione per i governi che si prodigano per la loro salute, spendersi in favore della campagna vaccinale dopo aver taciuto per anni in merito alla demolizione della sanità pubblica, grazie al loro accesso facilitato a quella privata, consentire pensosamente all’entrata in vigore di un permesso speciale di sopravvivenza che dovrebbe tutelarli dall’empio contato con una plebaglia ignorante, disfattista e misoneista.

Li abbiamo letti scagliarsi contro certe piazze dove hanno cittadinanza i molesti fermenti dei margini, destabilizzanti di un establishment che li colloca nel pantheon degli utili rincoglioniti dal quale i ventriloqui li estraggono a comando per esprimere consenso “illuminato”, contro coetanei colpevoli di non essere appagati dei beni, delle rendite e delle prerogative che hanno acquisito abbracciando l’ideologia secondo la quale non c’è alternativa al dominio delle sfruttamento e delle disuguaglianze, se le differenza vanno a beneficio della loro cricca.

Se riservo il doveroso odio di classe per i grandi vecchi al potere o aspiranti e candidati pronti a dismettere la tintura per esibire rassicuranti tempie canute, a incurvarsi nell’atteggiamento riflessivo e bonario dei nonnini del cacao,  non concedo benevola indulgenza per quelli che si sono arresi, che pensano di meritare la penitenza, persuasi di meritare la cancellazione del futuro da officiare nelle discariche sociali delle  case di riposo dove convogliare la sospirata pensione – unica ragione della loro sopravvivenza – e gestite dal compassionevole Terzo Settore come vuole il Pnrr del nonno.

Se una colpa hanno/abbiamo non è certo quella di aver voluto e goduto troppo, ma di avere permesso che qualcuno ce ne rendesse responsabili  tanto da essere autorizzato a comminarci la giusta pena di una sottovita, di una penitenza senza perdono.  Non è tardi per ribellarsi.