Anna Lombroso per il Simplicissimus
È stato considerato un testo anticipatore della letteratura femminista Il risveglio della Chopin, la storia di Edna Pontellier, una giovane signora inquieta e annoiata nell’America del Sud di fine Ottocento, sposata con un agente di borsa di successo, premuroso nei confronti della moglie che considera una sua preziosa proprietà. Durante una vacanza a Grand Isle nel Golfo del Messico, complice la natura selvaggia e sensuale del luogo, questa Madame Bovary creola, inizia un percorso di affrancamento dalla sua condizione di donna rispettosa delle convenzioni borghesi dell’epoca, le infrange, entra in aperto conflitto con i modelli imposti dal contesto sociale, intreccia una relazione che la porta a lasciare il marito e i figli, e alla fine si toglie la vita annegando in quel mare che è stato il teatro e forse il complice della sua dolorosa rinascita intellettuale, sessuale, affettiva.
Devo ammettere che non ho condiviso l’entusiasmo che ha accolto la pubblicazione in Italia all’inizio degli anni ’80 del volume, le sue ristampe, i film e perfino i balletti che ne sono stati tratti: ancora una volta il risveglio di una donna dipende da un incontro con l’amore e con il sesso, sicché il demiurgo che soffia il lei il senso della vita e che la conduce per mano alla scoperta del sé, del suo corpo e delle sue aspirazione e qualità è un uomo. Ma il libro è del 1899 e infatti suscitò scandalo quella vicenda di emancipazione dalla – doverosa per quei tempi – sottomissione alle figura maschili.
Però oggi mi tocca riconoscerne una sinistra attualità, se intorno a noi è tutto un circolare di gorgheggi garruli per il nuovo risveglio femminile, grazie alla sveglia suonata per via della presenza di buche micidiali nelle strade di Roma e della eventualità che non si completi la realizzazione di una ferrovia ad alta velocità per il trasporto delle merci che dovrebbe collegarci con i reami della civiltà occidentale, e che ha fatto scendere in campo un gruppetto di Edne a Roma e a Torino, capaci con la loro generosa determinazione di mobilitare un certo numero di probi cittadini.
Di loro si è scritto fino alla noia (anche io qui: https://ilsimplicissimus2.com/2018/10/23/roma-ball-club/ )ma pare non sia abbastanza se prestano il destro alle nostalgiche de senonoraquando che avevano sonnecchiato in un beato letargo progressista e riformista mentre si cancellavano le conquiste delle garanzie del lavoro, si riduceva all’osso lo stato sociale, costringendo le donne a sostituirlo, si costringevano nuclei famigliari alla scelta obbligata di chi si conservasse il posto con il maggior salario soffocando talenti, studi effettuati, competenze maturate, si umiliavano insegnanti di ambo i sessi, femmine in maggior numero, si rimettevano in discussione diritti che credevamo ormai inalienabili, sui quali pare non si riesca a organizzare adunate altrettanto oceaniche e plebiscitarie, per via di quella gerarchia delle prerogative che dovrebbe persuaderci a necessarie rinunce, come se la perdita di una promuovesse le altre.
Così circola grande compiacimento, che non ha avuto la stessa potenza nel caso delle donne della Terra dei Fuochi, come delle lavoratrici restie alla delocalizzazione o delle senzatetto sgombrate con la forza, anche da parte di quella specie molesta dei maschi che fanno i femministi in rete e sulla stampa e le carogne viriliste a casa e in redazione, per questa nuova vita delle proteste “spontanee” di una società civile in quota rosa che segnerebbe il riscatto degli italiani di buona volontà e di ancora migliore bon ton che vogliono distinguersi dalle zotiche esternazioni del ceto governativo (ne ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2018/11/16/sorpessimist/).
E poco conta se il risveglio, dei corpi più che degli intelletti, dipende ancora una volta da suggeritori iperdotati degli attributi che servono per convincere della bontà delle ragioni del mercato, del profitto, della speculazione, dello sfruttamento del territorio e delle persone, in grado di acquisire consenso e gratitudine da volti nuovi in cerca di notorietà, come in passato erano le stelline coi produttori, poi le redattrici col direttore, poi le ministre col presidente. Zelanti e pronte a ripetere come volonterosi pappagallini le lezioni di potere e sopraffazione impartite con la speranza, a volte appagata, di fare ancora meglio, dispiegando cinismo, spregiudicatezza, assenza di scrupoli, spacciati per quel realismo e quella concretezza che dovrebbero far parte del bagaglio genetico delle donne. Poco conta se non stiamo
Chi è sospettoso e diffidente di certe leadership immeritate, chi preferirebbe la qualità delle idee alla quantità e anche al genere e all’estetica delle gambe su cui devono camminare, chi non si accontenterebbe nemmeno di una avanguardia “corporativa” impegnata solo su un fronte di genere, che sarebbe comunque un passo avanti rispetto a una lobby rosa del neoliberismo, non sa partecipare all’attesa messianica di un governo di donne, auspicato dalle conchite, dalle murgia di Matria, ma soprattutto da chi in presenza di difficoltà insormontabili cerca un sostituto cui addossare responsabilità e colpe. Così come non ha riposto aspettative in governi di idraulici che dovevano chiudere i rubinetti dello sperpero, nemmeno di nuovi croupier che dovevano rovesciare i tavoli delle roulette truccate sulle quali ci costringono a giocare, meno che mai in quelli a alto contenuto muliebre esibito per camuffare con qualche granellino di cipria e due gocce di napalm dietro alle orecchie i reiterati oltraggi all’Italia, che tanto per dire ha un nome femminile. Come l’Europa, d’altronde, che però ha dimostrato di essere la quota rosa dell’impero, il negro da cortile per dirla con Malcom X che diffidava di chi emarginato, maltratto, offeso, sceglieva la sudditanza all’oppressore alla libera e coraggiosa dignità, che non può essere regalata né presa in prestito, dalle donne come dagli uomini, ma va conquistata e riconquistata e difesa ogni giorno.