C’è grossa crisi. Anzi grossa confusione e ancor più grossa disonestà: il compiacimento e il giubilo con cui unanimemente la stampa maistream annuncia che in Vaticano verrà formato un tribunale per giudicare gli alti prelati e in particolare i vescovi che abbiano nascosto o coperto i preti pedofili e insabbiato le denunce, lascia francamente sgomenti. Ecco – si dice- Papa Francesco dà seguito concreto alle misure peer stroncare la pedofilia nella Chiesa. Gaudeamus.
Invece no, è palese che si sia ancora pienamente dentro la linea Ratzinger, sia pure passata al trucco e parrucco di una linea mediatica completamente aggiornata: la Chiesa esattamente come voleva il papa emerito di prima, continua a considerarsi corpo estraneo e ritiene che i propri membri debbano essere giudicati solo dai loro pari. Se gli scandali scoppiati a macchia d’olio nell’ultimo decennio abbondante non consentono di rivendicare apertamente un giudizio esclusivamente ecclesiastico per i semplici sacerdoti, come si è preteso più o meno apertamente, più o meno ipocriticamente per molti anni, almeno si tenta di salvare le alte gerarchie: vescovi e cardinali verranno sottratti alla giustizia civile per reati penali di cui si siano fatti eventualmente complici, da un tribunale speciale, incistato nel cuore dei “sotteranei” del Vaticano.
Si prendono così parecchi piccioni con una fava se è lecito usare in questo caso una frase della saggezza popolare: si sottraggono i “pastori” e la chiesta stessa al discredito che può nascere da lunghe vicende giudiziarie, fidando nella labile memoria dei nostri tempi; si evitano condanne pecuniarie e magari l’onta di provvedimenti restrittivi e oltretutto si fa anche la figura dei moralizzatori intransigenti. La società civile e le sue regole vengono così bellamente scavalcate, il reato ridotto in peccato da assolvere con tre pater, ave e gloria. Esattamente al contrario di quanto avveniva con l’inquisizione dove la chiesa giudicava l’eretico e lo affidava per il rogo al braccio secolare, qui si sottrae il reo al braccio secolare perché non debba risponderne che in termini di carriera ecclesiastica quando va proprio bene. Nell’un caso come nell’altro si tratta di ribadire uno status privilegiato per cui valgono leggi diverse e che di certo non costituisce un deterrente a frenare inveterate abitudini.
In realtà non è nemmeno detto che l’annunciato tribunale giudicherà solo i massimi esponenti della chiesa: pare di capire che possa e che voglia anche occuparsi del piccolo clero, qualora ve ne siano le opportunità. In realtà questa nuova linea dell intransigenza potrebbe rivelarsi, se possibile, ancora peggiore della vecchia: prima si faceva di tutto per negare il reato, per minimizzarne le conseguenze o per vederlo sotto una luce diversa per cui l’errore meritava penitenza e non pena. Adesso invece si ammette il problema, si ammette persino l’indecenza ma si cerca egualmente di risolverlo all’interno dell’eccezionalità religiosa. Se i lupi perdono il pelo, ma non il vizio, bè la stessa accade anche ai pastori.
PS Correggo un piccolo errore. Ho scritto”cristianizzando”, intendevo dire “cristianizzando in senso cattolico”.
La storia di questo scandalo dovrebbe cominciare dalle origini. E si scoprirebbe che chi soffia sullo scandalo e lo tiene ostinatamente in vita non è l’insieme delle nazioni cattoliche la cui popolazione non è, che si sappia, mai scesa in piazza a reclamare chiarezza e punizioni esemplari per i responsabili (anche perché il non aver sospettato nulla per decenni e decenni potrebbe anche essere visto come sintomo di colpevole cecità se non di vera e propria correità, quindi forse è meglio non lanciare la prima pietra).
Lo scandalo ha invece un’origine americana. Gli americani, le cui chiese sono ovviamente immacolate e il cui popolo non ha, Dio guardi, mai registrato un solo caso di pedofilia dal 1492 in qua, hanno scelto il Vaticano come vittima di una strategia politico-economica molto precisa mirante a condizionarne le scelte anche di politica religiosa ed economica, specie ora in cui gli stessi Stati Uniti si stanno – a seguito del massiccio afflusso di immigrati ispano-americani – cristianizzando. Non a caso troviamo alla guida della Chiesa attuale un pontefice argentino che scherza e ride con Obama come se fossero amiconi. Sono amiconi perché con il papa venuto da oltremare si è chiusa la morsa e la Chiesa di Roma è ormai guidata anch’essa da un sodale di quella élite transnazionale di cui parliamo sempre senza poterle dare un nome preciso (ma non per colpa nostra, visto che giocano a rimpiattino).
Senza dimenticare il fatto che dietro allo scandalo c’è anche quel meccanismo diabolico inventato dagli studi legali americani per cui si può condannare un qualsiasi paese (e il Vaticano è un paese!) al pagamento di somme stratosferiche semplicemente sulla base delle dichiarazioni rese dalle vittime magari a cinquant’anni di distanza dagli eventi e senza dare agli accusati alcuna possibilità di difendersi in tribunale. Per essere ancora più sicuri, anziché accusare e poi eventualmente condannare i preti pedofili in un regolare processo dal quale nascerebbe, caso mai, una responsabilità risarcitoria in capo al prete pedofilo e non ai vescovi o al Vaticano (e se questo prete per caso non fosse ricco, i soldi chi li tirerebbe fuori?) si punta a condannare chi avrebbe chiuso un occhio secondo il principio molto più redditizio che, quando i soldi rischiano di non saltar fuori, la responsabilità penale non è più personale, come proclamano i codici, ma di chi i soldi li ha e ha una connessione qualsivoglia con l’eventuale colpevole. Geniale! Non posso prendere soldi dall’accoltellatore, cito in giudizio la fabbrica di coltelli!
Ovviamente tutti i nemici del Vaticano plaudiranno ma gli amici della verità e della giustizia continueranno a proclamare che la responsabilità penale è personale e va provata in tribunale con prove convincenti. Una volta provata, si potrà anche procedere all’accertamento di eventuali fiancheggiatori in alte o basse sfere. Ma non prima, a meno che non si voglia imitare dai “maestri” americani anche la pratica per cui vanno giustamente famosi: l’arte del linciaggio.