mensa-scolastica-in-base-al-reddito-pomeziaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Viene da cantare “Pomezia il tuo governo schiavo d’altrui si rende”.. dopo Vicenza e Adro a Pomezia il Comune, casualmente guidato da un sindaco 5 stelle, ha stabilito per capitolato d’appalto e ordinanza che ci siano bambini di serie A e bambini di serie B, secondo una forma di meritocrazia grazie alla quale ci sono quelli che hanno diritto al dolce e quelli che guardano i signori che mangiano il gelato.

È stato infatti decisa una discriminazione in base al reddito mediante due menu, disuguali per la lieta presenza o meno del dessert. E tutti a gridare allo scandalo, come se le divisioni anche quelle che colpiscono i bambini, fossero una crudele novità dei nostri tempi e in questo caso poi, il che elettoralmente non guasta, perpetrate non dal solito leghista, ma da un sindaco cittadino penta stellato. Come se fossero una novità feroce anche certe esternazioni bipartisan dei sindaci – sceriffi o capicameriere che siano – che invece dovrebbero averci abituati a spietate emarginazioni tramite muri, proibizione all’uso delle panchine, piccoli pogrom domestici, divieti d’accesso a barboni, colorati, rom, pulizie etniche esercitate anche nei confronti di indigeni colpevoli di indigenza, incapienza, offesa al pubblico decoro. E come se certe divisioni, certe disparità, non avessero augusti promotori là dove si decidono le sorti delle province dell’impero, dove si dettano indirizzi e linee guida da declinare, assecondare e applicare assennatamente perfino nelle scuolette di Pomezia.

Sono i cosiddetti costi umani della crisi, che ne determina una capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona. Così da abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza, dalla nascita alla morte. Prima non si va dal dentista, non ci si sottopone ai controlli preventivi sulla salute, si evitano indagini diagnostiche anche per non affrontare interminabili attese. Poi si risparmia sulla qualità e sulla quantità degli alimenti, si comprano cibi più scadenti, aiutati generosamente da misure ad hoc che addomesticano criteri e requisiti e rendono più elastiche le date di scadenza. Anche i funerali sono sobri e la rete è popolata di offerte imperdibili da parte di dinamiche imprese di pompe funebri. Ogni tanto ci si scandalizza che qualche scolaretto greco svenga a scuola per la fame, ma non ci fanno sapere dati nazionali sull’abbandono scolastico attribuibile alla nuova miseria, ai costi delle tasse, delle mense, alla vergogna di mandare a scuola i ragazzini dopo cene e colazioni a base di caffelatte, proprio come una volta, e di pane del giorno prima venduto a prezzi scontati al discount, in modo da circoscrivere il rischio di eventuali moti del pane.

L’austerità applicata ai bilanci pubblici e privati sta vincendo la lotta di classe. E gli sdegnati che gridano per il piccolo obbrobrio di Pomezia stanno zitti di fronte al consolidamento definitivo della precarizzazione, che comporta una regressione irreversibile: chi non ha certezze, ammesso che si permetta di fare figli, non potrà farli studiare e renderli competitivi sul mercato, la reiterazione dei lavori precari, svolti magari nell’arco di quindici o venti anni, non rende plausibile l’ascesa nella piramide sociale, i ricchi si mischiano e si sposano e figliano tra loro, chi ha sta con chi ha e chi non ha sta a guardare, ingoiando rospi al posto del budino.

Nell’anno di allestimento dell’Expò sull’alimentazione, l’offesa per la disuguaglianza applicata ai menu ferisce, ma dovrebbe far gridare allo scandalo la continua erosione degli investimenti in istruzione, nelle remunerazioni degli insegnanti, nelle scuole senza pc e anche senza carta igienica, nella’attuazione delle disuguaglianze attraverso differenti e discriminatori accessi al sapere, alla conoscenza, alle promesse di un lavoro qualificato. È da là che passa la fine delle democrazie in favore delle oligarchie del dessert.