Anna Lombroso per il Simplicissimus
Basta, basta, basta. Mentre si consumava la commedia delle quote di genere, una di quelle liturgie rituali pensate e attuate per indirizzare l’attenzione su scaramucce di retroguardia distraendola della perdita fondamentale della democrazia elettiva, che si esercita esprimendo scelte e dispiegando le prerogative di cittadinanza, una donna ha denunciato la lesione di ben due diritti.
La storia ormai è nota: a Valentina, una giovane donna affetta da una grave malattia genetica è impedito dall’infame legge 40 di ricorrere alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto. A lei quella legge ingiusta concede solo di rimanere incinta e scoprire, come poi è avvenuto, che la bambina che aspettava era condannata. Lasciandole una terribile libertà, quella di scegliere di abortire, al quinto mese. Un aborto doloroso e complesso come un parto di 15 ore durante il quale viene abbandonata da medici e personale, tutti obiettori di coscienza, che si limitano a indurre le doglie e la lasciano partorire nel bagno dell’ospedale.
Si tratta di un caso che impone di ricordare come tempo fa la Cassazione abbia rilevato come la 194/1978 “escluda che l’obiezione possa riferirsi anche all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento, riconoscendo al medico obiettore il diritto di rifiutare solo di determinare l’aborto (chirurgicamente o farmacologicamente), ma non di omettere di prestare assistenza prima o dopo, in quanto il medico deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza”. Come dire che il diritto di obiezione di coscienza “non esonera il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento”, nella misura in cui “il diritto dell’obiettore si affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute”.
E che ci fa chiedere di che coscienza sia dotato chi lascia soffrire una donna per 15 ore, che credo religioso possa giustificare un crimine, che deontologia professionale può essere elusa e a che titolo, dando luogo alla elusione dell’assistenza, che appartenenza a quale consorzio civile può dare licenza di trasgredire una legge dello Stato.
Ci sono violenze insistite e continue che stravolgono le vite delle persone, e che sono rivelatrici dell’ipocrisia maligna e dell’inadeguatezza colpevole delle istituzioni pubbliche. Avvenimenti ce lo ricordano quasi ogni giorno, malati respinti dagli ospedali, turismo inumano delle coppie che cercano di liberarsi dalle maglie proibizioniste della legge sulla procreazione assistita e quello di chi vuole porre fine alla sua vita con dignità, la manchevolezza drammatica delle terapie contro il dolore, ma anche le ruspe che radono al suolo accampamenti di disperati, la sordità alle denunce di malattie generate da condizioni ambientali, come è avvenuto per l’Ilva o per la Tirreno Power.
Alcune di queste violenze sono generate dalla ipocrita tolleranza di comportamenti inumani e incivili, giustificati da un’appartenenza confessionale a una fede che annovera tra i suoi capisaldi la compassione, la solidarietà, l’amore e la cura degli altri, insomma la pietas. Ipocrita perché non è possibile non dare ragione all’amara considerazione di Rosa Luxemburg: dietro ogni dogma c’è un affare da difendere.
Mai come in questi casi sono attivi gli impresari della difesa della vita, gli stessi che le nostre vite le umiliano, le mortificano, le restringono a esistenze povere e senza speranze, ne avviliscono la dignità limando i diritti, ridotti in una polverina che si soffia via per essere ricondotti alla condizione di corpi, sui quali dobbiamo rinunciare ad esercitare libero arbitrio e decoro. In Italia uno dei loro brand è l’obiezione di coscienza che rende impraticabile una legge dello Stato, con il rischio accertato di un ritorno alla clandestinità e alle mammane, quelle che non “operano” più sui tavoli della cucina, ma in tanto di cliniche private compiacenti e compiaciute di onorari prestigiosi.
C’è poco da interrogarsi sul perché in tempo di crisi si ritorni a esercitare una stretta anche sul più doloroso e arduo dei diritti: per motivi pedagogici e esemplari, probabilmente a dimostrazione che donne troppo indipendenti devono essere ricondotte alla ragione, quella delle mura di case, dell’ubbidienza, della subalternità, certo. Ma anche per riconfermare che le leggi devono uniformarsi a principi e dogmi confessionali. Sicuramente per ristabilire che è scopo dello stato contribuire a incrementare eserciti siano di soldati o siano di schiavi, indubbiamente per dimostrare che è dovere e responsabilità della politica guidare un popolo infantile e scriteriato nelle sue scelte personali, entrando nella privatezza delle esistenze, per imporre, invadere, soggiogare almeno quanto latita nell’assicurare garanzie e prerogative. E senz’altro per ratificare che cura, assistenza, medicina così come istruzione, cultura, beni comuni deve rientrare nell’ambito privato in modo da dare profitto e promuovere arbitrarietà e discrezionalità, sostituendo le leggi del mercato a quelle dello stato di diritto.
Da questo Governo per metà costituito da donne che si sono già rivelate poco diversamente maschi e molto diversamente civili e da questo Parlamento, c’è da aspettarsi ben poco nella difesa di una legge dello Stato che regola il più doloroso dei diritti che riguardano esclusivamente il genere femminile. E c’è da attendersi che prosegua quell’attitudine a legiferare sui geni, sul corpo, sul dolore, sulla vita e sulla morte, sui privilegi e sul lavoro, per promulgare i principi di una nuova cittadinanza basata sul censo, in modo che le libertà diventate merci siano accessibili come elargizioni o esclusiva solo di chi può permettersi di pagare. Che tanto per loro l’obiezione di coscienza è sospesa.
Mentre invece andrebbe semplicemente abolita. Era forse motivata alla promulgazione della legge 194: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l’aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza. Ma di tratta di disposizioni tra le più sagge e restrittive che sono riuscite a conseguire un difficile equilibrio tra il diritto dei medici a non agire contro la propria coscienza e quello della donna a interrompere la gravidanza. Oggi quindi chi decide di fare il ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole e civile offrire una scorciatoia per sottrarvisi. Ma gli obiettori odierni (ginecologi, farmacisti ecc.) hanno convertito l’obiezione di coscienza facendone un uso offensivo contro lo Stato e contro i cittadini, avvalendosi del diritto di “sottrarsi in via eccezionale” ad una norma di legge; e senza pagare alcun prezzo.
Ha osservato Gustavo Zagrebelsky che l’obiezione di coscienza che taluno avanzi nei confronti di questa o quella specifica attività dovrebbe portarlo a non partecipare al concorso e a orientarsi professionalmente altrove. E invece la regressione culturale che investe il paese si esprime nell’elevato numero di obiettori e nel riemergere dell’aborto clandestino; nella visione della donna come contenitore sul cui corpo il legislatore può legiferare senza tenere conto della sua volontà; nell’idea che “fin dal momento del concepimento” sia in vita una “persona” che entra in conflitto con la madre facendone un’ assassina.
Pare che la libertà di esercitare i propri diritti non abbia cittadinanza da noi, che saremo costretti ad emigrare per lavorare, per esprimerci, per abortire con dolore, per morire. Forse ce lo meritiamo per non averli difesi, ma avendo dato poca accoglienza altrettanto poca ne troveremo.
“la notizia era la denuncia e non l’evento”
Scusa ma che notizia è?
Se l’evento è vero, allora la notizia è l’evento.
E cosa vuol dire essere abbandonato nella sofferenza da sanitari menefreghisti lo posso sperimentare anche se uomo.
Il problema è che questo stato, insieme a molti giornalisti, sembra riconoscere un solo diritto sanitario: quello di morire.
Se l’evento è falso, allora la notizia è che un gruppo di giornalisti stanno prendendo in giro i cittadini propagandando notizie false.
Lo scopo, secondo me, è quello di negare due diritti.
Il primo è il diritto alla vita dei cittadini non più produttivi (i malati) o coloro che non lo sono ancora (i bambini).
Ma tu credi davvero che gli interessi delle madri?
Guarda che questi stanno cercando di far passare il diritto delle elite di decidere le qualità dei plebei che hanno diritto di nascere.
Ed avranno diritto di nascere solo coloro che producono più ricchezza di quanta ne consumino in modo che il ricavo vada all’aristocrazia finanziaria.
Il secondo è il diritto a qualsiasi obiezione di coscienza. Ovvero il diritto di dire no a decisioni non etiche prese da un parlamento nominato o eletto dall’esterno del paese.
Quindi la domanda che faccio a te è: vuoi combattere per informarci o vuoi essere una serva di questi signori?
Io voglio combattere ma, per farlo, devo essere informato e non manovrato con false notizie.
Guido
non sono per mia fortuna un’agenzia di stampa, del caso i giornali parlavano da 24 ore, la notizia era la denuncia e non l’evento. Il che non cambia l’orrore degli avvenimenti. Quanto al resto, oggetto dei miei commenti e delle mie opinioni, credo sia ancora peggio del peggio che con disinvoltura immagini. E cioè che costretti da un foglio di entrata a indurre le doglie i medici obiettori abbiano “somministrato” le cosiddette candelette e poi abbiano abbandonato la paziente, approfittando anche del cambio di turni, in modo da colpevolizzarla e criminalizzarla e imponendole indicibili sofferenze che tu non puoi naturalmente immaginare per differenza di genere, di umanità e di civiltà. La tua candidatura all’astanteria del dott. Mengele vedrai che andrà a buon fine
Buon giorno Anna!
Volevo, se possibile, fari un piccola domanda.
“Ma tu, prima di scrivere un articolo, dedichi qualche minuto per scoprire come è andata?”
Hai notato, per caso, che si tratta di un evento avvenuto 4 anni fa?
Hai notato, per caso, del fatto che si tratta di evidente imperizia di medici evidentemente non obiettori (dato che, come dici, avevano praticato l’aborto)?
Cioè… sei tu implicitamente scrivi che la colpa delle sofferenze della signora sono di medici obiettori che, in qualche modo, hanno disturbato quelli che hanno praticato l’aborto con le loro fastidiose opinioni.
Fammi capire… sta candidandoti per l’assunzione al MINCULPOP?
Un saluto
Guido
“Ha osservato Gustavo Zagrebelsky che l’obiezione di coscienza che taluno avanzi nei confronti di questa o quella specifica attività dovrebbe portarlo a non partecipare al concorso e a orientarsi professionalmente altrove. E invece la regressione culturale che investe il paese si esprime nell’elevato numero di obiettori e nel riemergere dell’aborto clandestino”
..un intero esercito che sguazza nel limbo della precarietà dei diritti, solo a salvaguardia del consolidamento di scopo… o per altra carriera.