Torna Caronte con la sua afa , ma si sta come d’autunno sugli alberi le foglie ad aspettare la sentenza Berlusconi. E non perché potrebbe cadere il governo che ha ormai sequestrato il Paese e intende rimanere ad ogni costo fino alla sua svendita con la scusa della “stabilità” mentre proprio la permanenza del Cavaliere è uno dei fattori di poca credibilità dell’Italia. Stiamo col fiato sospeso per capire se c’è una speranza di riscatto o anche le radici residuali della giustizia sono marcite e si dovrà assistere a un’intollerabile farsa a più mani per la salvezza di Silvio.
Probabilmente questo post uscirà quando si saprà già della sentenza e sarà già cominciata la ridda delle ipotesi. Ma non è della condanna o assoluzione che voglio parlare, quanto di un’idea, di una tentazione che mi è venuta nell’attesa. So che si tratta di un pensiero eretico rispetto alla democrazia formale e tuttavia non riesco a scacciarmelo dalla testa: quello di una piccola Norimberga per le larghe intese, un modesto ma severo processo a chi ha distrutto il Paese per conservare il proprio potere e che pensa magari di cavarsela al massimo con la non rielezione.
Mi spiego: da due anni a questa parte, da quando arrivò la famosa lettera Draghi – Trichet stiamo vivendo in un proclamato stato di eccezione in nome del quale si è praticamente abolita la distinzione tra maggioranza e opposizione, si è lasciato che il presidente della Repubblica divenisse di fatto il primo ministro, si sono mandati al macero diritti acquisiti, si è violato il patto di cittadinanza, si è chiuso un occhio sulle manovre terzomondiste dei vari Marchionne, si è avvilito il lavoro, distrutto il welfare, accelerata la deindustrializzazione, svuotato e tradito il responso delle urne. E ora ci si appresta a svendere ciò che è rimasto e a manomettere la stessa Costituzione. Il tutto in nome di un’emergenza in gran parte inventata a Bruxelles da incompetenti figuri che nessuno ha eletto i cui presupposti sono stati letteralmente spazzati via ormai da un anno, dichiarati frutto di errori. Si è in sostanza abbandonato il governo reale del Paese, lasciandolo nelle mani di interessi finanziari o di altre nazioni i cui programmi sono in diretto contrasto con quelli dei cittadini italiani.
Ma se stato di eccezione deve essere non ci si può uscire come se nulla fosse, dicendo abbiamo sbagliato o abbiamo scherzato. Gli stati di eccezione che confiscano la democrazia terminano anch’essi solo con un’eccezione alla democrazia formale, ossia con l’impeachment dei responsabili: quelli che prima hanno impedito che fossero le elezioni a decidere del governo del Paese e che in seguito hanno usato le urne per cose del tutto contrarie a quelle che erano state prospettate. E’ facile vedere che non si tratta delle solite promesse mancate, ma di un vero e proprio uso ingannevole del voto che ha coinvolto le istituzioni e un intero ceto politico. Né si possono invocare come attenuanti le “circostanze” nel momento stesso in cui si invoca una “necessità” che da fasulla quale era due anni fa è divenuta ormai una provocazione all’intelligenza e al buon senso.
La settimana scorsa, parlando della Cassazione e del Cavaliere qualcuno ha evocato il 25 luglio del ’43. Quella caduta di Mussolini provocata dagli stessi gerarchi ormai risoluti a scaricarsi dalle responsabilità della guerra perduta o illusi che il ridimensionamento del duce avrebbe dato loro più spazio e addossato al re la responsabilità dell’invasione del Paese. Non capivano che la mossa era volta a liquidare il fascismo perché la corona, i comandi militari, i potentati economici, potessero rifarsi una verginità di fronte ai vincitori. Cosa che sarebbe riuscita alla perfezione se la loro poca lucidità non li avesse portati a compiere errori grossolani e a permettere l’ingresso in forze dei tedeschi. La situazione è totalmente differente, ma si sente aleggiare lo stesso spirito: qualcuno fa finta di aspettare la sentenza per decretare che Berlusconi è un caimano e così imbarazzarsi per stare al governo con lui, qualcun altro non vede l’ora di innalzare agli altari il Cavaliere come vittima dell’ingiustizia. E tutto mentre il Paese è di fatto occupato, retto da governatori o modestissimi yes man del potere. Nel secolo scorso fu la Resistenza a rompere le uova nel paniere dell’ipocrisia in cui era vissuta per due decenni la classe dirigente italiana. E ora che la resistenza la si fa solo con la rassegnazione?
Cominciare a pensare che la sospensione della democrazia reale e della sovranità dovrà avere un prezzo per chi l’ha pensata ed attuata, sarebbe già qualcosa. Almeno una rivoluzione della dignità.
Allargherei il discorso storico per comprendere il Piano Marshall e le sue conseguenze. Le socialdemocrazie europei applicavano alla lettera la dottrina di Keynes, con welfare e educazione gratuiti e di qualità per tutti. Il benessere economico che ne deriva però esplode negli anni 60, grazie all’acquisita capacità di critica di milioni di persone, nei conflitti sociali che in tutto l’occidente durarono due decenni.
Ohibo! Che errore abbiamo fatto! devono essersi detto.
E hanno “inventato” Reagan e Thatcher e la scuola di Chicago, qui Licio Gelli, Craxi e il terrorismo, e nel nome della lotta alla violenza, allo strapotere dei sindacati (che allora funzionavano!), e dei “mercati”, hanno cominciato ad erodere, a volte con metodi violenti, più spesso in sordina, i diritti conquistati con quelle lotte.
Quello che vediamo oggi, che si chiama Berlusconi o Monti, Merkel o Cameron, banchieri e spread, non è che l’epilogo di una trama già evidente da almeno trent’anni.
Penso che se non fosse mai esistito Berlusconi, ci troveremmo ugualmente agli stessi punti. Destra e sinistra sono contenitori politici che sono stati svuotati dei loro contenuti tradizionali e riempiti di nuovi contenuti neoliberisti in tutte le nazioni europee. E questo almeno dalla caduta del muro di Berlino in poi, con grande gradualità e assenza di fretta da parte di chi ha disegnato l’intero progetto (aspettiamo ancora un libro che ci racconti la storia di questo modo esemplare di cambiare le nazioni senza che queste neppure se ne accorgano!).
In Germania Berlusconi non c’è ma SPD e CDU/CSU sono un unico grande partito neoliberista. In Inghilterra Labour e Tory sono fratelli di latte, tra Blair e Cameron non c’è nessunissima differenza e, al momento, i Labour sono i più accaniti nel recidere gli storici legami con i sindacati. Non parliamo poi della Spagna dove il Partito Popolare e il PSOE socialista sono a parole nemici ma quando sono al governo fanno le stesse politiche, si sostengono a vicenda e sprofondano in pari corruzione. In Grecia la macellazione sociale è stata presieduta dalla grande, anzi, piccola coalizione di Nuova Democrazia conservatore e PASOK socialista. Ma il grande modello, alla fine, sono gli stessi Stati Uniti dove repubblicani e democratici governano esattamente allo stesso modo, mettendosi magari maschere diverse per abbindolare i rispettivi pubblici.
Come si fa dunque a dire che Berlusconi è colpevole dello stato in cui versa l’Italia oggi! È colpevole di milioni di cose ma non di questo. Monti e Letta sarebbero arrivati comunque, come dimostra anche l’irrisoria facilità con cui nel 2011 Berlusconi venne fatto accomodare fuori dal governo con una procedura che definire irrituale è un eufemismo.
In altre parole, l’indignazione verso Berlusconi è legittima sul piano morale ma politicamente è gravissima perché fa si che tanti sprechino le loro energie morali e intellettuali su un obiettivo civetta anziché rivolgerle verso la vera causa della crisi che è la progressiva infiltrazione di personaggi politici che rispondono a interessi americani/neoliberisti in tutti i settori della vita politica, accademica e sindacale della nostra nazione, come se non esistessero altri interessi nazionali, economici o etici da difendere!
Si arriva al paradosso che ha fatto di più Berlusconi per aprire gli occhi agli italiani quando si è messo a fare campagna elettorale in chiave anti-tedesca di quanto sia stata capace di fare l’intera sinistra che, concentrata sul tema dell’antiberlusconismo, era tutta felice di poter eludere quelli che dovevano essere i veri temi della campagna: la lotta al modello di austerità fino al suicidio economico propugnato dalla Troika, la denuncia dell’assenza di democraticità nelle procedure decisionali dell’UE, la necessità di ripristinare il battere moneta, se non a livello italiano, almeno a livello europeo e, meglio ancora, il riappropriarsi della propria valuta e della propria sovranità troppo sbrigativamente “ceduta” anche qui in modo irrituale e senza interpellare pienamente il popolo italiano. Tutti temi su cui la classe politica italiana dorme dal 1945 in poi.
E attenzione anche al discorso Resistenza visto come momento fondante della nazione, ossia come mito religioso che nessuno deve neppure osare “sfiorare”, un po’ come Grasso e Boldrini vogliono che si faccia con l’Innominabile. Dirò solo una frase: i resistenti non (r)esistevano prima dell’arrivo degli americani e questo ci dovrebbe far capire molte cose di cosa è stata la Resistenza. Ma, a posteriori, capisco quanto sia duro dover ammettere che tanto sangue versato non fu versato per creare una nazione libera ma per crearne un’altra, libera dal fascismo certamente, ma non libera dalla sudditanza verso gli Stati Uniti. Cosa che, mi pare, stiamo pagando sempre più pesantemente ogni giorno che passa. E di voglia di diventare una nazione libera e sovrana, non se ne vede molta in giro, neppure fra coloro che criticano l’austerità e il neoliberismo.