23657477_la-democrazia-di-napolitano-larghe-intese-monti-bis-1Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ma vi ricordate quando ebbe inizio il culto, anzi,  l’idolatria del bipolarismo, indicato come la ricetta demiurgica per la purificazione della politica, per la maturazione del sistema costretto a diventare adulto ed europeo e condizione necessaria per garantire rappresentanza e partecipazione, attraverso un confronto e un antagonismo responsabile, consapevole e “occidentale”.

Ecco, gli stessi impavidi sacerdoti, hanno cambiato opinione: per fare le cose che contano nello spirito dell’interesse generale, per salvarci dalla povertà, per contrastare la crisi, tutte cose che evidentemente col bipolarismo non si potevano fare, occorre ben altro. Servono coesione, unità, serve stare insieme per amore o per forza, abbandonare paccottiglie ideologiche e attrezzature storiche, confondersi e andare d’accordo.

Tanto un primo risultato si è già largamente ottenuto, grazie a certi pretini fedelissimi a questo disegno, a certi apostoli di una modernità istituzionale, intesa come cancellazione della sovranità nazionale in favore di un’architettura più estesa e superiore, e che importa se i più deboli pagano per i più forti, i più poveri per i più ricchi in un trasferimento delle disuguaglianze economiche al contesto politico e civile.   Si, il primo traguardo è stato raggiunto, indispensabile per proseguire quella guerra di classe condotta contro popoli, ceti, contro lavoro lavoratori, contro diritti e garanzie per un mondo globalmente iniquo e disuguale, dove pochi comandano, accumulano, si arricchisco sempre di più ai danni dei molti. La sinistra che doveva rappresentare quei molti, che doveva difenderne le ragioni è stata inglobata in quel bipolarismo, i rari integri convinti dai comandamenti della necessità, gli altri protesi all’occupazione di uno spazio di aspirazioni personali, di conservazione di privilegi, contendendo il centro alle destra, con le stesse armi e gli stessi argomenti riconducibili al puro esercizio del potere e diventando via via sempre meno sinistra.

Non vogliono abbandonare la tavola imbandita del porcellum, il banchetto nel quale possono divorare con la proverbiale avidità quel che resta della costituzione, della democrazia rappresentativa, soprattutto adesso che sembra loro di aver liquidato quel pavido tentativo maldestro di democrazia diretta.

Per continuare a fare bisboccia e convincere gli affamati della ineluttabilità della fame, il popolo della fatalità della rinuncia ai diritti, i cittadini della ineludibilità della abiura della partecipazione, serviva penalizzare i fastidiosi “estremismi”, uno in particolare, che l’altro è più festosamente mimetico o forse ha assolto alla funzione di trascinamento a destra, occorreva perseguire la rassomiglianza fino alla coincidenza dei “poli” , amalgamati in quella coesione, in quella concordia che trova la sua ragion d’essere nella   conservazione. Il risultato è raggiunto, tanto che non inquieta l’astensionismo di chi non si riconosce in loro e nelle loro evoluzioni, che anzi viene festeggiato come la riprova dell’assimilazione auspicata nel quadro delle democrazie mature poco inclini alle liturgie della partecipazione e entusiaste della consolidata indole alla delega.

Ma invece bisognerà tornare a votare, e votare contro, contro il loro partito unico cui opporre la nostra forza, che è quella del lavoro, dei diritti, della conoscenza, dell’ambiente, della bellezza. Non so quale sia la strada, so che intanto serve smascherare il loro inganno, rivendicare con le battaglie sul territorio e per i beni comuni, con i referendum, il diritto alla democrazia e all’esercizio della volontà di popolo.