Anna Lombroso per il Simplicissimus
A ogni individuo si deve dar modo di scegliere i propri valori, quei sommi giudizi basati su valori individuali … le parole sono di un padre del liberalismo, Weber. Questo branco al governo r diversamente al governo, che usa il liberalismo come marchio per una paccottiglia di scemenze, intese all’iniquità, alla conversione del lavoro in schiavitù, dovrebbe conoscere quel che segue: scegliere i propri valori e vivere le dolorose conseguenze che potevano derivarne.
Verrebbe voglia di dar ragione a Brecht, arriva il momento nel quale si dovrebbe “sciogliere il popolo”. Chi male ha votato secondo i propri valori o i propri interessi vivrà le conseguenze delle sue scelte. Ma purtroppo le pagheranno anche gli innocenti, come spesso succede nelle stragi. Una strage largamente annunciata peraltro, prima di tutto della democrazia, grazie a elezioni falsate e contraffatte, per il permanere fortemente voluto dal ceto partitico di un sistema che impone la rinuncia alla partecipazione e alla rappresentanza, organizzazioni che hanno perso affidabilità e credibilità, una spettacolarizzazione che porta alla falsificazione, una informazione assoggettata e atona.
Ha ragione il Simplicissimus, il Pd sconta l’entusiastico appiattirsi sulle misure, che di politica non parlerei, del governo Monti, sull’impotenza e l’inadeguatezza a proporre un’alternativa ai diktat venuti da fuori, paga l’ubbidienza alla retorica del rigore, espia l’irresolutezza su tutti i temi legati ai diritti. Ma stavolta non aveva ragione Weber, non è vero che chi vuole utopie e visioni è meglio che vada al cinema. Un popolo sfiancato, senza prospettive, annichilito da interventi capaci solo di produrre disuguaglianza, continua lo stesso a sognare qualcosa e se non può permettersi il cinema si accontenta della cattiva televisione, di un pagliaccio che spolvera la sedia dove prima di è seduto il suo nemico, che molesta le donne come nel peggior avanspettacolo,, che racconta barzellette ma che anche in virtù di tutto questo regala qualche illusione. Così come in passato aveva prestato a molti la possibilità di imitarlo, far soldi, pagarsi case, ville, aerei e ragazze, trasgredire regole e leggi. O di un imbonitore del malcontento, coi suoi messaggi e le sue promesse roboanti come quelli dei situazionisti di dare il potere a un’èlite di paria.
Non sono corrette e trasparenti elezioni cui concorre un padrone delle televisioni, dei giornali e delle case editrici. Non lo sono quelle in cui si candida il maggiordomo del sistema finanziario, consulente di banche e di potentati affaristici. Non lo sono nemmeno quelle in cui un partito si presenta rinnegando la sua storia e un mandato, che è quello di rappresentare i lavoratori, traditi da politiche di sopraffazione, sfruttamento, cancellazione di diritti, e di testimoniare dei bisogni dei cittadini, prestandosi a manomettere la costituzione e le regole democratiche, delegando ad altri l’impegno assunto con gli elettori. E neanche quelle dove rischia di essere il primo partito un movimento che fa dell’improvvisazione una virtù, che alimenta il culto della personalità, che nega valori fondanti: antifascismo, solidarietà, uguaglianza.
E non solo elezioni libere quelle in cui vota chi ha paura, perché è sicuro che è lei a vincere. Paura di cambiare, paura della rinuncia e della perdita, paura della responsabilità, paura del domani. E paura della democrazia, paura della libertà che infatti sembra essere un oggetto troppo delicato per essere trattato da chi la teme perché minaccia i suoi interessi e da chi preferisce essere in condizioni di servitù, perché a lui ci pensi qualcun altro.
Spettacolo nello spettacolo, menzogna nella menzogna, a poche ore dalla chiusura delle urne lo spauracchio dei commentatori straniti e dei leader intontiti è l’ingovernabilità, come se negli ultimi anni ci fosse stata governabilità, governo, gestione del bene comune e dell’interesse generale. Qualcuno ha detto che le qualità di un rivoluzionario devono essere l’ironia e la pazienza. Beh, oggi fatico ad essere rivoluzionaria.
Certi “grandi” personaggi della politica e in particolare quelli che monopolizzano stampa e TV é come detenessero uno strano ma potentissimo “Ministero della diseducazione nazionale” ognuno con programmi propri e finalità personalizzate. D’altra parte ci si potrebbe chiedere che cosa sia e che cosa sia stata una”educazione “nazionale”. Fra l’altro oggi che significato ha il termine “nazionale” se non quello di etichettare un coacervo di persone svuotato della maggior parte di ideali morali, etici e/religiosi capaci di farne una realtà etnica omogenea e uniti solamente perché vivono entro l’ambito di un’espressione geografica?
Cara Anna, scusa se mi permetto questo approccio, vedi, dal contenuto della tua risposta che leggo qui sopra traggo questa considerazione:
in questo benedetto paese ci sono due livelli culturali così distanti che un colloquio sembra proprio impossibile. Purtroppo, per la mia modesta esperienza personale, questa differenza non è dovuta nemmeno alla scolarità delle persone, comincio a pensare che sia di origine genetica. Il QI di intelligenza “nella norma”, passami lo sproposito, è pari alla temperatura di Mosca in inverno. Non si spiegherebbe altrimenti come quattro evidenti balle in televisione possano ribaltare una situazione da tutti data per compromessa. Insisto, il problema non sono i media, e la televisione in particolare, è che una larga parte del paese per motivi culturali la guarda troppo e credo sia l’unica fonte di informazione. Ora converrai che non possiamo colpevolizzare la televisione ma piuttosto gli spettatori. Se per assurdo la televisione fosse controllata dalla sinistra l’effetto sarebbe comunque un imbonimento, forse eticamente meno grave, ma comunque imbonimento. La democrazia è una conquista per popoli maturi, quello italiano evidentemente non lo è a sufficienza. P.S. leggo con interesse i tuoi articoli, compiutamente e a volte li rileggo.
Sto proprio pubblicando qualcosa che largamente coincide con quello che mi scrivi. La supremazia della “cattiva informazione” che poi è disinformazione, della spettacolarizzazione non potevano non sortire questi effetti.. ma è come dici tu una spiegazione solo parziale. Forse c’è un perverso codice genetico, forse siamo una democrazia troppo giovane. comunque io mi riferivo a un Qi modesto e se vuoi opinabile, rispetto allo stereotipo di classe dirigente tutta tossica e disonesta e popolo tutto virtuoso.. una convinzione che induce vittimismo e deresponsabilizzazione, proprio come sospetti tu.. Grazie di leggermi, mi lusinghi
io credo che basti il buon senso, una QI di intelligenza nella norma, che non occorra essere intellettuali organici o apocalittici per considerare antistorica la tesi di un dualismo antagonistico tra un ceto politico corrotto, incompetente, disonesto e un popolo, tutto, virtuoso, integro, onesto e intento solo all’interesse generale. Magari fosse così, anche se sarebbe comunque inspiegabile che una gens così perfetta sia anche tanto imbelle, indolente, da tollerare governanti così poco rappresentativi dei loro valori e delle loro virtù.
Sig.ra Lombroso…
lei cita Brecht , presentando le sue credenziali al sig. Preti… Di cui peraltro condivido l’analisi….dal suo scritto trapela un livore che mi lascia stranita… O forse no. Mi basta rispolverare Gramsci.. ” gli intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare i bisogni culturali.
In molte lingue – in russo, in tedesco, in francese – il significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e l’intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano».”.
Non le cito Berlusconi .. che è solo l’alibi stantìo di cui ci si serve per nascondere fitta fitta la propria inadeguatezza.
che il Preti commenti e chiosi articoli che non legge, nemmeno le prime righe nelle quali cito Brecht per dire che a volte si dovrebbe sciogliere il popolo, si evince dal fatto che mi annoveri tra gli elettori del Pd, ma soprattutto dalla sua personale convinzione che io tema Berlusconi e non i “berlusconi” diffusi tra noi.Non è obbligato a leggermi con continuità, figuriamoci. Ma come scrivo qui e come ripeto da anni Berlusconi è il volto prestato a un largo segmento di italiani.Detto questo è anche ragionevole ammettere che grazie a una cornice mediatica, è stata operato una formidabile opera di persuasione, che certamente contribuisce a alimentare una “cultura” e una ideologia.
di sicuro sono state le elezioni del pesce blob (http://animalepolitico.blogspot.it/2013/02/pesce-blob.html).
Capisco, anche se non condivido, il livore di questo scritto che, spero per te si annoveri tra le elettrice del PD, ti ha gettata ancora una volta nello sconforto per rifugiarti nell’antiberlusconismo.
Ma possibile che non ti venga in mente che dopo 18 anni il problema non è Berlusconi ma un terzo del popolo italiano?
Davvero non fai uno sforzo per comprendere che Berlusconi esiste politicamente perché un terzo dell’elettorato è peggio di lui e si sente da lui rappresentato?
Se davvero non comprendi questo, lascia perdere gli articoli, i giornali e la televesione e cambia mestiere.
Massimo Preti
Reblogged this on profumo di donna.
Tutto vero, con l’aggiunta dello smacco di non aver sedi istituzionali
a cui postare questa scatola di menzogne .
Tutto avviene ipocritamente nella “legalità ” di uno stato dove burocrati , tecnocrati , caste varie hanno trovato e trovano le strade per rendere legale ciò che non lo sarebbe secondo lo spirito della nostra Costituzione.
Pure quella in qualche misura hanno saputo contraffare, senza un battito di ciglia del suo custode istituzionale, anzi con qualche suo invito
a procedere in nome di un ‘Europa anch’essa contraffatta.