Se volevamo una dimostrazione che la cultura in Italia è cosa da salotto, da chicchere esibite e subito riposte nell’apposita vetrina, ben protetta dalla polverosa realtà, Ken Loach ce l’ha fornita con gli interessi. Il rifiuto di accettare il premio alla carriera conferitogli dal Festival del cinema di Torino, ha forse qualcosa di filmico e di retorico, ma è tutt’altro che un gesto massimalistico e aristocratico come si è affrettato sostenere il direttore della manifestazione Gianni Amelio che gli contrappone invece l’atteggiamento di Scola, altro premiato, che sarà invece sul palco di Torino a “dialogare” con i lavoratori esternalizzati e pagati e 5 euro lordi l’ora. Se c’è un gesto inutile e ipocrita è proprio questo.
Loach di cui non sono peraltro un fan, ha un’intera vita cinematografica alle spalle, spesso documentaristica più che narrativa, nella quale hanno un posto centrale i problemi del lavoro e della sua dignità. E’ ovvio che raggiunto dalle lettere di dipendenti licenziati dal Museo del Cinema e riacquisiti sotto forma di lavoratori alla fame dalla milionesima cooperativa esternalizzante, abbia deciso di non accettare un premio segnato dietro le quinte da uno dei meccanismi più noti ed utilizzati per diminuire i salari e i diritti. La cosa è stata una sorpresa e uno choc per gli organizzatori italiani i quali naturalmente sono portati a pensare che i film, i libri, i saggi o qualsiasi altro strumento di comunicazione e la cultura che vi si esprime, siano qualcosa a cui non è richiesta la coerenza. E da buoni cattolici quali non possono non dirsi, per riprendere Croce, nemmeno è richiesta la fede in ciò che viene detto.
Anzi quando convinzioni e messaggi si rivelano reali e coerenti restituiscono l’idea di un atteggiamento “aristocratico e massimalista”, come se essere davvero convinti di ciò che si dice, il non voler essere la chicchera che si ripone dopo il premio, costituisca una mancanza di stile. Di quello stile che da noi non prescinde mai dalla consapevolezza di casta e dalla doppia morale, fino ad avvilirsi a futile farsa. Non è un caso che Ettore Scola (regista che non mi dispiace affatto) andrà a ricevere il medesimo premio alla carriera, animato, probabilmente dopo il rifiuto di Loach e la figuraccia mondiale degli organizzatori, da un dialogo con i lavoratori. Come se questi fossero davvero liberi di parlare senza rischiare di essere buttati fuori e come se il siparietto servisse a qualcosa oltre a far andare in visibilio i citrulli del coro sulla “sensibilita” di Scola. Lui sì che non è aristocratico, vedete parla addirittura con i lavoratori.
Ma io rimango convinto che un premio alla carriera debba portare rispetto al significato di quella carriera. Visto che il carteggio tra i lavoratori della cooperativa Rear che si occupa di servizi di pulizia e sicurezza per il museo del cinema e il regista inglese non era misteriosa, evidentemente si pensava si pensava che mai e poi mai Loach sarebbe stato influenzato dalle mail con qualche precario scontento. Suvvia, siamo uomini di mondo e di Monti. Invece io darei un premio a Loach per una delle migliori e sintetiche descrizioni del mondo del lavoro come lo si intende oggi: «C’è un grave problema, la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. E’ una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile. Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses». Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni».
Davvero intollerabile in un Italia debole e ipocrita.
Che Paese. Solo pochi mesi fa intellettuali, attori, registi ecc.firmavano appelli e partecipavano a manifestazioni, indignati, giustamente dalle vicende che riguardavano il presidente del consiglio con contorno di olgettine ecc.. Gli stessi garndi intellettuali nostrani evidentemente non si indignano per le schifezze di un governo che acquista strumenti di morte ma taglia i fondi per i disabili, che riduce il diritto alla cura e lascia nella miseria milioni di pensionati con meno di 500 euro al mese ma regala miliardi alle banche, che vuole favorire gli affari che si consumano sul Tav ma annulla i fondi per la protezione civile, ecc. ecc. ecc.
Ken Loach non solo come regista (ed è il meno), ma come persona ne vale un milione di registucoli politically arcicorrect come Amelio e Scola.
Tutto il mio sostegno a Loach.
Tutta questa storia mi ricorda tanto l’Inghilterra vittoriana, quella tanto perbenista, puritana, pulita e un po’ (molto) snob all’apprenza, quanto gonfia di marciume e ipocrisia dentro. Per intenderci, quella dove per i crimini violenti venivano immediatamente (e spesso esclusivamente) additati gli stranieri, perchè “un inglese non avrebbe mai potuto”, e dove si faceva finta che le donne in miseria si prostituissero per vizio e non per necessità.
Normale che i capoccioni del Festival siano rimasti interdetti e corrano a coprire di cipria le pustole della loro creatura, in questo disgraziato Paese nessuno rinuncia a un vantaggio, un’onorificenza, un premio in denaro per una semplice questione di etica o ideologia. In questo Paese dove è diventato assolutamente normale vendersi il culo proprio e dei figli in cambio di una nomina a cavaliere o una ospitata dalla defilippi, Loach è un alieno di un altro mondo.
Ho avuto modo ieri di commentare la cosa. Credo che Loach sia una gran persona prima di essere un grande regista e questa presa di posizione non convenzionale, ribadisce se mai vi fosse il bisogno, il suo essere coerente. Le polemiche seguite di cui leggo anche qui, dimostrano altrettanto chiaramente credo quanto di ipocrisia vi è in questo nostro strano paese strano. E dall’ipocrisia penso, non nasca un cinema grande.
Grazie.