Nell’agosto del ’42 il Savoia Cavalleria, forte di 700 uomini  si scontrò contro i 2500 di un reggimento siberiano a Isbuscenskij sul fronte del Don e riuscì miracolosamente ad avere la meglio, sia per l’imperizia totale del comandante russo, sia per l’effetto sorpresa:  nessuno si aspettava che i cavalieri caricassero davvero contro i mortai e le mitragliatrici. L’episodio suscitò reazioni ambivalenti tra alleati e nemici perché da una parte ci fu ammirazione per  il valore di quella azione, ma dall’altra ci fu il senso di riprovazione allo limite dello sberleffo, per aver mandato in un teatro di guerra come quello dei reparti di cavalleria “classica” , gestiti in maniera autonoma come se si fosse in epoca pre napoleonica.  Infatti l’episodio, con tutto il suo anacronismo, ebbe una vasta risonanza mediatica, ma nessun effetto  sulle operazioni belliche. E per la cronaca  tanto valore fu inutile sino alla fine: dopo la fuga del re e dei generali da Roma, il Savoia Cavalleria passò in massa il confine svizzero.

Chissà quale carico di ridicolo sarebbe calato sulle nostre sciagurate imprese militari se si fosse conosciuta la conclusione tratta dallo stato maggiore italiano, dopo aver esaminato gli eventi  di Isbuscenskij: “spade più pesanti”. La maledizione di questo Paese è la mediocrità delle sue classi dirigenti, in qualunque campo, frutto della scarsa mobilità sociale, dello spirito di clan, dei poteri ereditari, del familismo acquietante, di una concezione del potere e della partecipazione così diverso da quello che si è formato nel resto d’Europa.

Anche adesso al ritorno di Monti dall’oriente, con il Savoia Cavalleria dei media schierati a cercare di nascondere il totale fallimento dell’impresa, ci troviamo di fronte a una crisi ormai devastante: imprese che chiudono a valanga, decine di migliaia di persone a spasso, recessione prevista e riscontrata, salari tra i più bassi al mondo, niente soldi per la scuola e la ricerca, età di pensionamento oltre il limite della decenza, corruzione ed evasione dilaganti. Ma, la risposta dello stato maggiore di palazzo Chigi è simile, nell’assurdità e nel ridicolo a quella di 70 ani fa : “articolo 18”. L’unica cosa che si può sperare è che siano costretti prima o poi a fuggire da Roma anche loro.