Il plutonio è fuoriuscito dalla centrale di Fukushima, lo dice il gestore dell’impianto la Tepco. Ma il governo giapponese aggiunge un “forse”, sebbene ritenga la situazione imprevedibile,  mentre gli esperti di Greenpeace dicono che bisogna evacuare la popolazione perché anche a 40 chilometri di distanza la radiazione è tale che in quattro o cinque giorni si raggiunge la dose massima annuale.

In tutto questo bordello nucleare due cose sono chiare: che le informazioni ufficiali  sono inaffidabili se non apertamente manipolate e che nessuno capisce fino in fondo come si stia evolvendo la situazione, cosa stia accadendo dentro quei maledetti reattori. Non abbiamo le conoscenze necessarie per capirlo bene e  per trovare soluzioni. L’ incertezza e questo evidente “buco di conoscenza”  non sono cose di oggi, continuano da quando c’è stato il terremoto e lo tsunami.

Eppure i nuclearisti non sembrano demordere e prendere atto che la tecnologia nucleare è quanto meno ancora immatura. Rinviano, rimandano a progetti futuri o futuribili, ma senza perdere l’arroganza dell’ottimismo. Che poi è spesso quello degli interessi.

Però c’è anche un ambiente intermedio che senza essere direttamente favorevole al nucleare, esprime una sorta di ingenua fiducia nella scienza come in qualcosa di assoluto. Un portato della nostra cultura nazionale che oscilla tra un vago spiritualismo e un positivismo d’antan, che sembra non avere la minima idea della fatica, delle battaglie e dei conflitti che portano a conoscenze certe dentro un certo paradigma.

Qualche giorno fa  ho letto con una certa sorpresa un breve pezzo di Curzio Maltese  in cui si invitava ad ascoltare  gli scienziati e la “comunità scientifica” in materia di nucleare. Sorpresa perché da una parte è un invito ovvio, ma dall’altra sembra preso di peso da non so quale  libro cuore degli anni oltre il Duemila.

Gli scienziati  fanno parte della società e agiscono in base alla medesima sociologia, dove anche gli interessi contano e non poco, mentre per comunità scientifica s’intende quella che accetta un metodo di indagine, non certo una comunità è che d’accordo su tutto. Anzi  la normalità è che si sentano voci discordanti. Mi chiedo come mai il cinismo del giornalismo italiano scompaia così misteriosamente quando sono in gioco grandi interessi, tanto da  scambiare equivocamente gli scienziati impegnati nel nucleare con la comunità scientifica nel suo complesso.

E alla fine siamo noi che dobbiamo prendere una decisione, sopratutto quando avviene quello che si escludeva potesse avvenire. Perché la conoscenza è un divenire, non una certezza per sempre. E perché a rischio ci siamo noi.

Certo ascoltiamo gli scienziati e gli esperti, ma ascoltiamoli attentamente anche quando non sanno bene cosa dire. E quello di Fukushima, mi sembra un caso di scuola. Anche se con aule inquietanti.