Anna Lombroso per il Simplicissimus

Chi mi conosce un po’ sa bene quanto io sia aliena dal ricorso a tutta quella paccottiglia del giudizio e del pregiudizio di genere, che riempie da secoli riviste femminili, letteratura alta e romanzacci, sociologia e sociologismi, serate dell’8 marzo in pizzeria ma anche bar sport. Gli uomini sono tutti codardi, non sanno fare due cose insieme, ti chiedono dove sono i calzini senza guardare appunto nel cassetto dei calzini, ragionano col pisello, e così via. Cui fa da contraltare la leggenda più o meno avventata sulle qualità e le specificità femminili: coraggio, sopportazione, tenacia e certo, se ci fossero più donne al governo tutto andrebbe meglio.
Mentre sospetto che a far firmare turpi contratti capestro alle aspiranti dipendenti sia anche una qualche signora Marcegaglia, a conferma che almeno contemporaneamente allo scontro o confronto tra sessi, non dovremmo trascurare il solito millenario conflitto sempre attuale, chiamiamolo come volete: capitale lavoro, conflitto di classe. E che anche in presenza di quello ci sono maschi due volte volte maschi in quanto padroni e femmine due volte femmine in quanto subalterne, serve o addirittura schiave.
È che io sono fortunata. Fortunata nella lotteria della vita, nata dalla parte dei privilegi, fortunata per geografia familiare, fortunata per educazione, alla bellezza e al sapere, e per amore per la polis, fortunata perché sono crescita in tempi formidabili attraversati da fermenti, rivoluzionari della cultura, delle abitudini, dei comportamenti, delle attitudini. Il femminismo e le conquiste di diritti a scelte e all’autodeterminazione nella sfera intellettuale, politica, sentimentale e sessuale ha veramente affrancato intere generazioni di donne, soprattutto quelle come me, privilegiate all’origine. Ma le ricadute hanno innervato tutto l’universo femminile di questo Paese, nel quale esistevano ferite che contagiavano tutta la società dall’aborto clandestino al delitto d’onore. Ed è bene non dimenticare le conquiste condivise anche per non dimenticare chi le ha ostacolate, in tempi nei quali la troppa indulgenza a l’inclinazione alla pacificazione rischiano di rimescolare amici e nemici, alleati e ostili, in un impasto mistificante di oblio, ipocrisia e perbenismo benpensante.
Perché la tendenza all’omologazione è un rischio. E direi che lo è in misura eguale per i due generi. Per le donne che denunciano legittimamente il timore di essere tutte vittime della reificazione, della riduzione a passivi oggetti, performance sessuali condannate a costituire una- nemmeno troppo ghiotta – merce di scambio, perché ce n’è tanta e di fresca, dimissionarie in tempi di crisi anche dalla missione di desiderabili consumatrici privilegiate. E i maschi infilati in abiti solo apparentemente comodi, quelli della sopraffazione, dello sbrigativo e anaffettivo consumo di carne e favori, della rincorsa alle scorciatoie del denaro facile che può comprare tutto, compresi consensi e affetti.
Anche in questo sono stata e sono fortunata. Non ho praticato l’autocoscienza che mi è sembrata un rituale molto poco fertile sia sul piano personale che su quello “civile”. Ho avuto anche io i miei “danni” quelli che secondo alcuni rendono le vittime pericolose agli altri perché sanno di poter sopravvivere a quasi tutto. Senza ritenere che esista una “aristocrazia” del dolore, più sensibile e rarefatta, penso che certe penombre aiutino a guardarsi intorno senza stare sempre al davanzale, a pensare senza corrimano. Anche se se ne sarebbe fatto volentieri a meno.
E quindi in una contabilità degli incontri mi considero molto fortunata mi sono imbattuta in persone di sesso maschile che erano prima di tutto persone, emozionate ed emozionanti, sentimentali e disposte al sentimento, affettive e desiderose di affetto. Spesso spaventati dalle donne, dal diverso da sé, cosa non rara in tempi e culture che alimentano paura e diffidenza. Ma codardi né più né meno quanto le donne, altrettanto timidi eppure risoluti ad amare. E ne amo uno che appunto mi incanta perché disposto a rischiare in questi bellissimi e difficili territori.
Per questo in questi giorni mi turba un atteggiamento maschile riluttante alla condanna morale ben prima che la politica di certi stereotipi prossimi all’abiezione e che li confondono in una caligine di sultani, tenutari, papponi, eunuchi, guardoni, frigidi, camerieri, esegeti in mutande o in cravatta a pois.
Ma mi preoccupa altrettanto un sentimento molto comune alle donne, livoroso e risentito. Che le porta a confondere in un’unica disillusione uomini e uomini in politica, casa e cittadinanza.
Io per prima sono convinta che le ferite alla dignità inferte dal premier e dalla sua classe politica siano della stessa arma irrispettosa di diritti, regole, leggi, tradizione, cultura, di quelle inferte alla cittadinanza, alle istituzioni, alla libertà, a valori, ideali e principi.
I maschi, come le donne, non sono tutti uguali. Nel palazzo e in casa. E mi dolgo nel vedere che esiste una tentazione a desiderare che gli uomini siano tutti machisti, tutti prevaricatori, tutti fisiologicamente e geneticamente destinati a sopraffazione e violenza, tutti inclini a menzogna e sopruso, tutti potenzialmente nemici in una bella guerra molto sanguinosa nella quale perdono le persone, i sentimenti, le passioni e sopravvivono egoismo, cinismo, violenza, proprio quelle pulsioni che piacciono ai tiranni.