Anna Lombroso per il Simplicissimus

Oggi come sempre è il profitto che ci comanda con il suo corteo di vincoli: divisione sociale, tecnica del lavoro, sfruttamento, accumulazione, padronanza ed esclusione dal sapere e dall’informazione, vocazione prometeica all’impiego e al  possesso di uomini donne e natura, arbitrarietà e controllo su scienze e competenze, dominio sui tempi di vita.

 

Se poi il profitto personale diventa l’intento e la finalità di un’azione di governo, il primato di un esercizio di potere che nulla ha a che fare con l’interesse generale e il bene collettivo, allora le sue leggi sono ancora più imperiose e irrompono nelle esistenze togliendo possibilità di scelta e trasformando le preferenze in divieti o in ordinamenti, intervenendo e ingerendosi su un dominio che dovrebbe essere governato da autodeterminazione e responsabilità.

Paradossalmente da noi avviene che uno stato che è stato depauperato di autorevolezza e forza anche nel quadro di un empio disegno di divisione discriminatoria del suo territorio, della sua socialità e coesione, istituzioni che sono state dileggiate e che si tenta di trasformare in  strumenti al sevizio di interessi personali, un apparato normativo che viene quotidianamente vilipeso, gaiamente disatteso e eluso vengano “incaricati” di decidere sulle scelte private dei cittadini in materia di vita e di morte, sulla loro dignità, quella delle loro menti della loro qualità di vita e perché no dei loro corpi.

Certo a questo governo interessano i corpi giovani o mantenuto fittiziamente e artificiosamente giovani dal bisturi e da un eccesso di elisir, quelli belli, al servizio del piacere altrui più che del proprio, indirizzato protervamente verso  consumi e accumulazione di beni effimeri.

È una carnalità che riguarda più che l’eros le macellerie mediatiche con dei bei quarti di manzi esposti e impiegati per rapide utilizzazioni finali.

I corpi sessualmente o  produttivamente meno efficienti, quelli vecchi o malati diventano solo terreno di scontro, aree dedicate alla misurazione del controllo sugli altri e sui loro destini, interstizi del controllo sociale nei quali effettuare una pratica di sopraffazione dei diritti, della dignità, della libertà, siano di lavoratori sfruttati o  sopravvissuti loro malgrado a incidenti o a malattie.

Invece le persone dovrebbero per quanto possibile padroneggiare le loro vite.
Non devono essere schiave o suddite di altri individui.
Le loro vite non devono essere modellate o dominate dall’arbitrarietà della sorte sociale o della “lotteria” naturale.
Devono essere messe in condizione di poter scegliere se stesse nel corso del tempo. E di poter decidere come vivere e convivere nella durata.

Ci siamo abituati e ci hanno assuefatti ad assimilare questi capisaldi a due filoni.

Da un lato a quella visione politica incentrata sulla giustizia sociale, a una rimessa in discussione dell’iniquo squilibrio delle dotazioni naturali, dell’ ingiusto determinismo del nascere da una parte privilegiata o diseredata del mondo, del collocarsi all’origine tra salvati o sommersi, della riconferma del primato dei destini castali .
E dall’altra a quella sfera della laicità, come doverosa cura e tutela della qualità delle scelte pubbliche e personali, dell’autodeterminazione delle persone, come salvaguardia delle opzioni nel rispetto dell’autonomia di cittadinanza, come un volonteroso valore aggiunto, una specie di optional che è anche possibile collocare sullo sfondo delle agende politiche in nome di altre priorità.
Si tratta invece di principi irrinunciabili.

Oggi più che  mai e tutti. Perché si tratta delle questioni primarie della libertà: libertà come assenza di vincoli e interferenze e minacce che l’esercizio di potere di alcuni genera arbitrariamente sul destino di altri.
Oggi l’infame speculazione sulle scelte di vita e di morte è una ferita più che mai aperta, che mostra  che le modalità dell’ “oppressione” sono molte, rudi o gentili, ma tutte mirano a ridurre la gamma delle opzioni delle persone, a erodere la loro autonomia di agenti morali liberi, a tradire la promessa della generalizzazione della pari dignità di cittadinanza, in un contesto politico caratterizzato dall’interesse privato, un concetto di libertà come privilegio di pochi. Razzismo, xenofobia, sessismo, classismo negano l’equa distribuzione del “valore sociale” e le ragioni del chiunque su quelle del qualcuno. E la ricetta è sempre quella, quella della  giustizia sociale, della uguaglianza delle opportunità, della riconquista della libertà di scegliere la propria vita senza il condizionamento terribile e il ricatto materiale e morale della povertà,quella della tutela della dignità e libertà delle persone, uomini e donne che siano.