Scoppiano come mortaretti i buoni sentimenti, ma il puzzo che rimane è quello dello zolfo. Il Cavaliere perdona Tartaglia, ma chiede che i giudici siano severi con chi lo ha aggredito perché è una ferita alla sua carica sacrale. Quella medesima carica, quella stessa sacralità  in virtù della quale egli chiede al altri giudici di soprassedere sui processi in corso contro di lui. L’ipocrisia nevica su questo Natale di buonismo fasullo.

Ma non è solo questo ciò che si deduce dal perdono vendicativo che impone. Anzi è il meno, ciò che invece viene fuori prepotente è un altro aspetto del berlusconismo: la sua natura di religione materiale che si sovrappone e si sostituisce ad un inesistente progetto politico. I miracoli non sono venuti,  le riforme non sono state fatte, salvo quelle atte a rendere più ricchi i ricchi e ad eliminare i diritti, le infrastrutture sono penose, l’Italia è nella merda, ma il leader oppone il suo corpo mistico ferito, facendo propria la sofferenza del Paese. E chiedendo che sia allontanato da lui il calice amaro che deriva dal suo passato e anche dal suo presente.
Di volta in volta c’è sempre stato qualcosa che gli ha impedito di fare ciò che aveva promesso, di essere ciò che ha finto di essere: i giudici, i comunisti, Follini, Casini, Fini.  Ma ora a questa “sofferenza” così poco credibile sul piano razionale, a questi pretesti risibili,  può opporre un dolore corporale, un simbolismo prepolitico e che ormai ha poco a che fare con la politica stessa, ma con le paure collettive e gli interessi privatissimi. E quando parla non c’è che da dire Amen. Dicendolo al tempo stesso alle speranze in un Paese migliore.