Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ormai chiunque si discosti anche impercettibilmente dalla narrazione comune è tenuto a dare conto della sua appartenenza alla società civile, ai suoi riti e alle sue inevitabili concessioni al conformismo. Mi adeguo e premetto che esprimo tutta la mia umana solidarietà alla scrittrice e influencer che oggi ci rassicura con una sua performance al teatro Carcano, accolta da una ola: accolta da lunghi applausi e riceve anche una standing ovation e mostrando al pubblico la sua solita ironia: “Le voci che corrono sulla mia morte sono esagerate”, dice riecheggiando una battuta di Mark Twain. E poi: “Ho letto già diciotto coccodrilli, alcuni di persone che mi hanno odiato. Ma io ho detto che mi mancano mesi, probabilmente molti. Insomma, sono viva. Anzi vivissima, altrimenti non riuscirei a stare al passo della mia amica, che ha un’attività neuronale pazzesca”.
C’è da augurarsi che il messaggio ottimistico dell’icona secondo Debord arrivi anche ai malati al quarto stadio accomunati giorni fa dalla stessa condanna a morte senza revoca , che non possiedono una tribuna, un palcoscenico, e che hanno vissuto in una mesta solitudine la caduta della chioma come un rito sacrificale offerto agli dei del dolore, della perdita di dignità, lasciati soli da un sistema che non vuole spendere per loro, per la loro salvezza alla faccia dei trionfi della scienza diventata religione di Stato. Finora la Murgia non ha parlato di dolore e non possiamo che augurarci che non ne debba parlare mai. Anche se vengono buone le riflessioni di Byung-Chul Han che riflette sul perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre esistenze. Oggi vige un’algofobia, una paura e un rifiuto generalizzati del dolore. Anche la sua soglia è crollata dando luogo a una anestesia permanente che ci induce a evitare qualsiasi circostanza e evento doloroso, compre le pene d’amore diventate sospette. L’algofobia si è estesa agli ambiti sociali e politici: difatti ai conflitti e alle divergenze viene riservato uno spazio sempre per non indurre confronti dolorosi tanto che la “mancanza di alternative” è diventato un analgesico che ci persuade che è preferibile abbandonarsi alle imposizioni del sistema.
Qualcuno l’ha chiamata democrazia palliativa reclamando che si torni invece a una politica agonistica che non scansi i confronti dolorosi. Anche Michela Murgia fa parte di questo sistema che ha convertito tutto in spettacolo, in rappresentazione del mondo che non è realtà. Dove l’esercito degli eterni spettatori dedica il suo consenso alla performer del Carcano, agli sproloqui dei martiri ucraini, a chi per evitare il dolore, si sottrae a passioni, collera, amore.
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