Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mentre da popolo siamo diventati “casi umani”, espropriati di diritti, beni, garanzie, libertà, i nostri destini sono affidati a “casi clinici”, narcisisti, vanesi, egolatri, personalità distruttive, impotenti sessuomani o sessuofobi, le cui carriere potrebbero essere oggetto di studi psichiatrici, più che delle biografie della Navicella.

Purtroppo non va meglio con intellettuali, pensatori e opinionisti affetti da scissioni della personalità e disturbi cognitivi che non sorprendentemente si manifestano a seconda dell’andamento del consenso o della disaffezione riservata ai loro beniamini.

Ne è esempio illuminante il sussiegoso ravvedimento dei molti che da mesi ci invitano a dare sostegno al presidente del consiglio, che era stato capace di restituirci la reputazione presso i mandanti che l’hanno inviato a eseguire la sentenza finale,  sul quale era doveroso sospendere ogni giudizio politico per non disturbare il re taumaturgo impegnato a tutelare la salute della collettività.

Adesso invece, che serpeggiano interrogativi e dubbi sulla panacea vaccinale, adesso che a intermittenza organismi di controllo dettano sentenze contraddittorie per sospendere il giudizio dei tribunali, che quello popolare è già emesso, adesso che perfino la stampa cocchiera insinua qualche incertezza, seppur raffreddati, seppur febbricitanti, seppur grati di aver scampato la morte certa grazie alle somministrazioni coattive, ecco che hanno ritrovato il dolce gusto della critica.

Scampato il pericolo rappresentato dal puttaniere, dalle sue turbe senili, dalle sue inquietanti frequentazioni, ostentano un risveglio della coscienza democratica narcotizzata dalla paura e ottenebrata dalla opportunità di conservarsi spazi di influenza, quella virtuale, e si interrogano sulle caratteristiche con le quali si può manifestare il golpismo.

Così se dentro di sé considerano più pernicioso quello ridicolo da bananieri, da self made man ossessionato dal riscatto sociale e dalla salvaguardia dei suoi interessi opachi, cominciano a dubitare del credito assegnato all’algido banchiere, al rispettato custode dei mercati,  all’incarnazione enigmatica ma feroce  della trimurti dominante, potere finanziario, politico e mediatico.

Folgorati dalla avvisaglie dell’insuccesso scendono frettolosamente dal cocchio, perfino i componenti della cerchia di MicroMega, per via dell’agnizione improvvisa che la democrazia potrebbe non essere solo costituita dalla “delega a chi sa”, agli abilitati a  concedere una certificazione ai sudditi obbedienti che si assoggettano. E difatti perfino l’illustre autore dell’equiparazione tra Green Pass e patente di guida, perfino gli appassionati detrattori di Agamben rendono palesi i loro dubbi, adesso che i “poteri forti”  sono usciti sconfitti “dalla prima tornata di “ludi cartacei” presidenziali, avendo egualmente puntato da tempo le loro fiches sulla stessa casella: quella di Mario Draghi, presunto demiurgo del ripristino di un ordine pericolante”. Con spericolato ardimento titolano: perché No a Mario Draghi, o anche Fenomenologia del Migliore, mandato, cito, “a sanare il vulnus creato dal fatto di avere alla presidenza del Consiglio un corpo estraneo; che non era socio del Garden Club a cui appartengono i bennati convinti di essere destinatari per diritto di nascita dei più che sostanziosi finanziamenti che si prevedono in arrivo da Bruxelles, grazie al Next Generation”.

Nessuno di loro va oltre le referenze tossiche accumulate in anni di servizio al Male, in veste di mozzo dello yatch, di piazzista dell’industria nazionale, di sicario della Grecia, di vile affarista spregiudicato e cinico incaricato di alienare beni pubblici comuni, di sicario delegato a smantellare l’edificio democratico inaugurando l’era degli austeri eurosauri tecnici in qualità di commissari liquidatori, del padre spirituale del fiscal compact, per non doversi esprimere su questo anno di nefandezze durante il quale ne hanno apprezzato la severa politica di controllo sociale, di repressione e discriminazione intesa a inasprire le disuguaglianze funzionali alla visione di sviluppo che ispira la politica dell’Occidente in declino, per non dover ammettere che tutte le misure di carattere profilattico non possedevano nessun requisito sanitario, né la campagna vaccinale né l’introduzione del green pass.

Eppure sarebbe bastato quello, quelle scelte  incompatibili con le più elementari regole democratiche e sostenute dal ricorso alla decretazione, confermate dall’affidamento di un ruolo strategico a un generale, appoggiate dalla corruzione degli organi di stampa e dalla censura delle voci critiche, per capire le vere finalità dell’emergenza resa perenne, per comprendere le vere mire della conversione dei cittadini in potenziali malati esposti agli effetti perversi della globalizzazione e dunque oggetto di un regime medicale e farmacologico, intenzioni non certo sorprendenti, perché sono poi sempre le stesse, cancellazione dei diritti, aggiramento delle regole democratiche, esautoramento del Parlamento, traduzione in realtà di un disegno totalitario di sfruttamento, profitto, sorveglianza e repressione di qualsiasi critica e opposizione, colonialismo interno ed esterno, insomma un autentico fascismo malcelato della grisaglia.

Il fatto è che questo aspetto evidente per chi non ha interessi e non ripone aspettative in questo fascismo mainstream, è gradito a un ceto che invece riscuote benefici economici, sociali e morali diretti e indiretti, con l’appartenenza sia pure in ruoli subalterni all’oligarchia nazionale e sovranazionale. E che ha ricevuto un ulteriore riconoscimento accodandosi alle “comunità” delle autorità politiche e tecniche, offrendo l’avambraccio al doveroso sacrificio, plaudendo entusiasticamente all’adozione di tessere di iscrizione al partito unico, che offre loro l’apprezzabile possibilità di mantenere il loro status non minacciato, rivendicando una specialità etica fondata su un malinteso senso di responsabilità.

Non è certo una novità, la correità nella manomissione dei principi fondanti della democrazia costituzionale, di sovente implorata come doverosa rinuncia a una sovranità incompatibile con la visione di una Europa elitaria e aristocratica, proprio come era stata sognata a Ventotene da loro supponenti e sussiegosi affini, segnata da discriminazioni e disuguaglianze delle quali sperano di poter approfittare per sempre in cambio della subalternità e gregarietà, alle quali abiurano di continuo come cambia il vento, come suggerisce il giro di poltrone accademiche, come consiglia l’editore beneficato dalle provvidenze governative.

Indifferenti alle operazioni da retrocucina del Migliore che si dà da fare cercando l’appoggio degli avanzi di partitocrazia fino a ieri pubblicamente umiliati, potrebbero essere sospettati di non volerlo al Colle dove certe esuberanze anticostituzionali potrebbero essere più appariscenti, in modo che porti a termine la missione di boia a Palazzo Chigi, dove davvero come dice il Manifesto è irrinunciabile per via della sua indole sanguinaria e criminale.

Adesso sono intenti a rimestare nel loro torbido fatto di rosette della Legion d’Onore e di cavalierati, di trasmissioni nelle reti culturali di MediaRai, di colonnine sui giornaloni, alla ricerca di figure autorevoli, prestigiose, laiche, indipendenti. Peccato che da anni le abbiano messe a tacere, demansionate, retrocesse e condannate al ruolo di fastidiosi disfattisti, di malsopportati animali da salotto esibiti a dimostrazione dell’indole pluralista.

Se ci sarà un 25 luglio del regime pandemico c’è da scommettere che saranno i primi a cancellare il disonore del loro assoggettamento vergognoso con la rimozione malgrado Google. Sperano in una damnatio memoriae volontaria che li risparmi dall’obbrobrio e dall’infamia, che noi invece siamo obbligati a ricordare.