Molte manifestazioni in Medio Oriente, in particolare in Iraq e ovviamente in Iran, hanno ricordato il secondo anniversario dell’assassinio del generale Qassem Soleimani per mano di due droni americani, proprio il 3 gennaio del 2020, l’anno del golpe virale in occidente. E le due cose in qualche modo si tengono perché entrambe sia pure in modo diverso sono espressione della paura delle elite di comando di fronte sia alla catastrofe economica che hanno provocato e per la quale hanno inscenato la pandemia in maniera da rovesciare il tavolo, sia alla perdita della capacità di controllo monocratico del mondo che a sua volta innesca ulteriori problemi economici. In realtà – come sottolineano diversi analisti statunitensi tra cui Pepe Escobar – il fatto cruciale non è stato tanto l’assassinio di Soleimani che i servizi americani “caldeggiavano” fin dal 2007, quanto la risposta dell’Iran con gli attacchi missilistici di precisione sulla base aerea irachena di Ain al-Assad controllata dagli americani e concepiti in modo da essere una risposta chiara senza per questo fare vittime inutili. E’ stata proprio questa risposta forte e misurata costituire una svolta segnalando che giorni dell’impunità imperiale erano finiti: gli attacchi missilistici di precisione su Ain al-Assad fatti da una media potenza per giunta indebolita dalle sanzioni e alle prese con una grave crisi economico/finanziaria, è stato un manifesto molto chiaro molto chiaro che da qual momento in poi non ci sarebbe più stata acquiescenza nei confronti degli abusi americani, ma ci sarebbe stata una risposta colpo su colpo. Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale si è avuta una riposta forte alla derisione di qualsiasi diritto internazionale da parte della potenza egemone. E questo è stato interpretato in tutta l’Asia occidentale e in vaste aree del Sud del mondo come una evidente erosione del “prestigio” degli Stati Uniti.
Non saprei dire se sia stato questo fatto a dare la spinta definitiva alla macchina della narrazione pandemica come estremo tentativo, anche inconscio, di sparigliare le carte dopo la sonora sconfitta siriana e l’imminente abbandono dell’Afghanistan, che nessuno immaginava si sarebbe svolto sotto forma di una fuga precipitosa, ma che comunque era inequivocabilmente una sonora sconfitta. Quindi l’accostamento tra la pandemia e le vicende geopolitiche oltre che con quelle economiche, assai più evidenti, non sembri del tutto fuori luogo. Sta di fatto che in due anni molte cose sono cambiate nell’area mediorientale: l’avvicinamento della Turchia agli Emirati arabi e l’aperto tentativo di questi ultimi di favorire il libero scambio sia con Israele e il Libano che l’Iran e la Siria stanno innestando muove linee commerciali che superano le divisioni spesso aizzate dallo stesso occidente e stanno cominciando a riplasmare il Medio Oriente nella direzione sostanzialmente immaginata da Soleimani: Teheran si sta sempre più consolidando come il nodo chiave della nuova via della Seta nel sud-ovest asiatico e il partenariato strategico con la Cina, rafforzato dall’adesione di Teheran alla SCO, sarà una realtà di riferimento sia dal punto di vista geoeconomico che geopolitico. Parallelamente, Iran, Russia e Cina saranno tutti coinvolti nella ricostruzione della Siria e anche qui con la realizzazione di progetti legati alla via della seta come la ferrovia Iran-Iraq-Siria-Mediterraneo orientale al futuro gasdotto Iran-Iraq-Siria, probabilmente il fattore chiave che ha provocato la guerra per procura americana contro Damasco. Il fatto che il più potente alleato degli Usa nella regione, ovvero l’Arabia Saudita abbia chiesto aiuto alla Cina per sviluppare i suoi missili, è forse la ciliegina sulla torta.
A questo movimento che potremmo di liberazione dal colonialismo ipocrita di Washington e della muta europea sempre più irrequieta si contrappone un occidente che sta pagando il prezzo più alto per la sua pandemia e il cui potere si appresta a sbarazzarsi per sempre di qualsiasi rimasuglio di democrazia per resistere a una tempesta economica che sta arrivando dopo decenni di creazione di valori fasulli. Che questo disegno vada in porto oppure fallisca per la reazione delle popolazioni, in ogni caso il mondo sarà molto diverso.
Pepe Escobar non è statunitense, è brasialiano.
Great, King of Hill, Do it again, …
For that guy….
WOW, GREAT !!
Ooh.. Ooh… Wow !!
Oh… U Yeah !!
Sure, Uh Yeah !!
OH… UYeah !!
For Anonymous man :
Oh… U Yeah !!
Sure, Uh Yeah !!
OH… UYeah !!