Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte le “buone notizie” arrivano da fonti inattese che possibilmente contribuiscano ad esaltare il forte connotato sociale e umanistico della rivoluzione digitale.

È il caso di Sarco, il dispositivo stampato in 3D per il suicidio assistito, la capsula  dal design avveniristico che può essere attivata dall’interno  dalla persona che desidera mettere fine alla propria vita, che  può essere trasportata ovunque “per offrire questo servizio in spazio aperti con un panorama idilliaco o nelle sale di un’organizzazione per il suicido assistito”.

Il candidato alla morte felice non deve fare altro che entrare nella capsula e sdraiarsi sul comodo lettino,  rispondere a una serie di domande e infine premere il pulsante all’interno in modo da far sprigionare l’azoto liquido che farà calare rapidamente i livelli di ossigeno dal 21% all’1% in circa 30 secondi. La persona sperimenterà un vago disorientamento e una lieve euforia, prima di perdere conoscenza.

Esistono per ora tre prototipi – il più accattivante è in mostra nelle sale del Museo della Cultura sepolcrale di Kassel – pronti per essere prodotti e operativi in Svizzera, dove è stato autorizzato il loro impiego e dove da anni è legale fare ricorso al suicidio assistito tramite due organizzazioni (una chiede alla clientela il certificato di vaccinazione)  cui si sono rivolti anche dall’estero molti che possedevano i mezzi per meritarsi l’eutanasia, ancora proibita in paesi oscurantisti da governi che hanno fatto della morale confessionale un’etica pubblica da applicare a tutte le fasi della vita.

Per quanto riguarda il nostro Paese ancora ferito dalla vergogna del caso Englaro e dove le disuguaglianze segnano tutte le tappe dell’esistenza, dalle nascite ostacolate dalla mancanza dei mezzi di sussistenza necessari per mettere su famiglia, alle cure mediche, dalla prevenzione all’assistenza, dalla diagnostica alle strutture ospedaliere e alla medicina di base, talmente penalizzate da favorire il ricorso, per chi può al sistema privato, dall’aspirazione a essere genitori trasformato in privilegio e prodotto da acquisire anche quello in mercati più permissivi, proprio come la scelta di porre fine ai propri giorni con dignità, c’è da ritenere che si sia ancora lontani dalla possibilità di veder riconosciuto questo diritto.

E figuriamoci  di questi tempi, quando è in atto un processo, in tutto l’Occidente, di delegittimazione del libero arbitrio, di criminalizzazione dell’esercizio   autonomo e indipendente delle scelte personali in materia di terapie e cure, in modo da favorirne la commercializzazione esaltando il ruolo del mercato e dell’industria che ha già avocato a sé la ricerca e la sperimentazione.

Figuriamoci se in procinto di avverare la fosca profezia di una società medicalizzata dove tutti sono obbligati moralmente e concretamente ad affidarsi a autorità tecniche, dove la democrazia sarebbe delegare le decisioni “a chi sa”, dove a cominciare dai bambini si allestisce un futuro per cittadini- pazienti soggetti a raffiche di vaccinazioni e nel quale nessuno è abbastanza sano da non dover ricorrere a farmaci, integratori, controlli di comportamenti e inclinazioni, quando la gravidanza è ormai trattata come una malattia da sorvegliare e le patologie sono affrontate e curate secondo gerarchie e regole dettate dal profitto.

Difatti Sarco finisce per avere una finalità incompatibile con il processo ideologico e politico in corso: quella di “demedicalizzare” la morte assistita che al momento prevede il coinvolgimento di uno o più medici, sia per prescrivere il sodio pentobarbital che per confermare il pieno possesso delle facoltà mentali del soggetto, cui è affidata la valutazione “psichiatrica” del malato che viole porre fine alla sua esistenza, cui è impedito così  il controllo sulle modalità con cui togliersi la vita.

Al tempo stesso però Sarco rispecchia un altro aspetto dell’edificio di “valori” che ispira le azioni del sistema dominante. La morte con dignità e la decisione finale restano così esclusiva di ceti privilegiati, delegate a organizzazioni private che sia pure nel rispetto della laicità rispondono a regole di mercato. Mentre i “decessi” degli altri, della gente comune sono statistica, ormai perlopiù manipolata, e narrazione millenaristica di cumuli di corpi, trasportati in cortei di camion sottratti al compianto ma destinati al monito perenne del “memento mori”.

Pare che l’ideologia che ispira il regime totalitario che governa una parte del mondo, non riesca a rompere il tabù della morte, anche se promette l’immortalità garantita dall’industria farmaceutica, mentre è a buon punto nel mettere al bando la sofferenza grazie a messaggi culturali, a misure autoritarie e a miti di “speranza” a pagamento che inducono una anestesia della mente, risparmiata dal peso del pensiero, della decisione e della visione del dolore confinato in luoghi appropriati, oggi più che mai chiusi, appartati e disciplinati, ospedali, carceri, caserme, in modo che diventi una questione medica o di ordine pubblico.

Se fino a qualche tempo fa edonismo, narcisismo, consumismo imponevano di essere “appagati e felici” adesso la formula del dominio è mantenersi sani a costo di sottomissione, di rinuncia al pieno controllo delle proprie azioni e decisioni, di abiura dalla privatezza e dell’intimità con l’obbligo a una ostensione pornografica di desideri, preferenze e bisogni che finisce per concorrere alla sorveglianza e al controllo sociale.  Il risultato è sempre quello desiderato dal potere dominante, che esige che le condizioni e i problemi sui quali agire siano di carattere personale, psichico, comportamentale e non sociale e politico, così come le responsabilità e le colpe che devono essere attribuite implacabilmente a chi non rispetta i dogmi dell’adattamento.

Lo dimostra la spinta alla farmacologizzazione del malessere personale e collettivo grazie a dispositivi medici e mediatici, per immunizzare la società e renderla impermeabile alla critica, alla collera e al dolore della frustrazione e dell’alienazione, a passioni che vengono privatizzate come i diritti retrocessi a elargizioni e licenze perché perdano il loro carattere “sociale” e collettivo.

Così potrebbe davvero successo perfino da noi la capsula che conferma la solitudine del morente, il cui isolamento, come profetizzava Norbert Elias, insieme alla rimozione dell’idea della morte, simboleggia quel controllo delle emozioni che deve  caratterizzare una modernità dove avere cittadinanza solo la paura da vincere con qualche elisir o qualche narcosi.