Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Non so voi ma io avverto aria di fine dei giochi, come se il pettine dell’odissea pandemica fosse giunta ad un punto di svolta e non solo per via dei numeri che hanno la testa dura comunque li si voglia leggere, ma anche per la difficoltà di riproporre gli scenari che abbiamo vissuto nel corso di questi due anni. Potrei sbagliarmi, è ovvio. Magari a partire dall’autunno i malanni stagionali verranno reclutati tra i casi di covid e la curva dei contagi verrà fatta decollare, quindi sarà posta l’alternativa tra una terza dose e un nuovo confinamento generale, addebitando il tutto a chi fa resistenza alle inoculazioni di regime. Non c’è dubbio che ciò sarebbe bene accolto dagli alchimisti di Pfizer&Associati e dalla grande speculazione finanziaria, ma anche dai manipoli bivaccati in Parlamento e naturalmente dai sindacati fermi sull’attenti fin dagli albori di questo dramma collettivo.

Però è anche vero che a rendere poco realistica tale eventualità contribuisce non solo il risveglio di una parte della popolazione europea che ormai manifesta tutte le settimane nelle maggiori città contro obblighi e sottrazioni di diritti, ma soprattutto l’incongruenza della narrazione ufficiale, che da un lato è costretta a parlare dei sieri spacciati per vaccini come strumento efficace e dall’altro se vuole continuare la sceneggiata deve ammettere che non lo sono abbastanza. Insomma dovrebbero tirar fuori dal cilindro una nuova ‘variante’, che sia la ‘Mu’ per ora parcheggiata in sala d’attesa in Sudamerica o una ‘Omega’ dal sentore di giudizio universale, roba tosta che negli spot della neo-scienza a trazione liberista è debellabile come minimo con un altro paio di dosi.

Inoltre è difficile immaginare che il governo percorra a lungo una strada in controtendenza rispetto a ciò che accade oltralpe, mentre le recenti decisioni prese nel nord del continente (ma anche in Spagna) rivelano la volontà di procedere comunque verso la fine del clima emergenziale. Dopodiché esiste certamente una quota importante di persone disposte a sopportare, a giustificare o addirittura plaudire ad ulteriori atti della commedia, ma è indubbio che andrebbe sempre più crescendo la percentuale di chi oppone resistenza. E non è facile dire in quanti avrebbero prestato il braccio alle siringhe senza il ricatto di stato, che paradossalmente è cresciuto in misura proporzionale alla percentuale di dosi inoculate, fino a raggiungere oggi vette inedite di discriminazione quando ormai tre quarti della popolazione ha già chinato la testa. Intanto il comitato promotore ‘No green-pass’ organizza la raccolta firme per abolirlo tramite referendum. Ne fa parte, oltre a giuristi, avvocati e docenti, anche un volto sicuramente conosciuto ai più, quello di Carlo Freccero.

Il progetto referendario si articola in quattro quesiti contro altrettanti decreti riguardanti non solo la certificazione obbligatoria in vigore dal 6 agosto ma anche le limitazioni relative alle attività sociali, economiche e scolastiche. Si può firmare online o di persona presso i banchetti siti nelle località che saranno a breve indicate. L’iniziativa è certamente lodevole ma suscita qualche perplessità sotto l’aspetto strategico. Se davvero si arrivasse a tale consultazione prima che la sua ragion d’essere fosse superata dalla dinamica degli eventi, è certo che quasi tutti i partiti, i sindacati, le istituzioni politiche, nonché l’intero apparato mediatico con il concorso della crema della virologia televisiva, farebbero quadrato per impedire la vittoria dei proponenti. Con una simile prova elettorale magari si riuscirebbe a saltare oltre l’asticella del quorum, obiettivo divenuto nel tempo piuttosto infrequente, ma una vittoria del Sì sarebbe estremamente improbabile, almeno sulla base della situazione attuale e del modello di ‘informazione’ cui siamo sottoposti. Ci sarebbe quindi il serio rischio di regalare al governo ed ai suoi pupari un immeritato incentivo a proseguire sulla strada della compressione dei diritti e delle ‘creative’ interpretazioni del dettato costituzionale.

Il che non significa che bisogna sedersi sulla riva del fiume aspettando che un giorno il nemico finirà impiccato alle proprie menzogne. In qualche modo sta già accadendo e se qui vi fossero sindacati degni di tale nome, di cui si avvalgono ad esempio i lavoratori francesi, il clima sarebbe decisamente migliore. Ma per una serie di ragioni ciò ha finito per abitare solo nell’immaginario. Occorre resistere, anche ammettendo la modesta efficacia degli strumenti a disposizione, attraverso la disobbedienza, la manifestazione pubblica e organizzata del malcontento, le azioni legali collettive. Soprattutto mediante la diffusione di quelle notizie che l’informazione di regime distorce o spesso oscura del tutto. Evitando, inoltre, che forze politiche reazionarie si approprino delle bandiere dell’indignazione traendone consensi spendibili per la realizzazione di scenari se possibile ancora più inquietanti.