Non so se ridere o piangere quando leggo delle arcadie risibili ma in un certo senso disperate che vengono costruite sulla pandemia e sulle sue macerie pensando che essa possa in qualche modo farci uscire dal capitalismo e dalla globalizzazione. Capisco che  andare ostinatamente in senso contrario alla corrente sia da pochi e c’è chi si lascia trascinare pensando che arriverà al mare e alla libertà: le vie dell’illusione sono infinite esattamente come quelle del Signore  e probabilmente non a caso. La storia stessa ci dice che non è così: la nascita della società capitalistica in Europa la si deve alle grandi epidemie di peste che tra la metà del Trecento fino alla metà del secolo successivo falcidiarono al minimo un terzo della popolazione attiva favorendo così la concentrazione e l’accumulazione di capitale. Questa tesi peraltro documentabile con uno sterminato numero di carte è diventata un classico, ma risale a Max Weber che la tematizzò in maniera singolare, ma molto significativa anche per il presente, attraverso la frattura fra l’Europa del Nord che si avviava al protestantesimo e quella del Sud dove la Chiesa cattolica ancora tentava di resistere, sia pure in termini di pura teoria, alla dismisura del profitto che invece passate le Alpi diventava segno di benevolenza divina e di salvezza eterna. Insomma la tecnologia tedesca aveva fabbricato una cruna dell’ago attraverso la quale passavano solo i grassi e ben pasciuti cammelli, ma non i poveracci.

Non abbiamo difficoltà a pensare che i molti proprietari delle botteghe artigiane che costituivano il nerbo dei poteri comunali e della borghesia produttiva del tempo, stroncati dalla peste favorirono per così dire una concentrazione delle attività da parte di quelli che erano sopravvissuti, mentre la mano d’opera che scarseggiava dovette essere pagata meglio favorendo così la diffusione di attività finanziarie e dunque ancora una volta il capitale. E non si pensi che tutto sia rose e fiori perché in molte aree europee non ci fu  salari fu compensata dalla costrizione al lavoro. Il fatto saliente è che morirono soprattutto quelli che non si potevano permettere di non lavorare, che non avevano campagne nelle quali rifugiarsi, né dimore avite nelle quali aspettare che l’epidemia facesse il suo corso. Queste invece erano a disposizione della grande nobiltà terriera, dei mercanti arricchiti, dei banchieri e dei prelati, cioè di una economia lontana dal lavoro produttivo e tutta intenta a parassitarlo che così sopravvisse quasi intatta acquisendo perciò un potere molto maggiore rispetto alle corporazioni e ai ceti del lavoro che  fino ad allora avevano rappresentato e sostenuto una sorta di democrazia cittadina, costellata anche da rivolte popolari e contadine che oggi noi conosciamo come età dei comuni: certo anche prima questi ottimati contavano e non poco, ma con le stragi di giovani e di artigiani competenti prodotte dalle pestilenze, essi riuscirono a strappare abbastanza potere da insediarsi come signori delle città e dei loro territori. In pratica solo Genova e Venezia dove sia l’attività mercantile che quella legata ai mestieri della marineria  erano preponderanti sopravvissero come Repubbliche. Anche perché in un certo senso l’accumulo di capitale era garantito dal vasto impero marittimo che esse avevano saputo costruire nel Mediterraneo, giungendo a governare persino la Crimea. E riuscirono ad accumulare abbastanza grasso sottopelle da resistere per un secolo e mezzo ai due formidabili colpi ricevuti sul finire del Quattrocento: la conquista di Costantinopoli, dunque la diffusione del potere turco nel mediterraneo orientale e la scoperta dell’America che spostò l’asse economico sull’atlantico.

Mi sono un po’ dilungato su Genova e Venezia  perché pur essendo città di intensissimi commerci e uno degli approdi della peste nel continente europeo, perciò le città più esposte al contagio sono state anche quelle che ebbero minori conseguenze e questo smonta una tesi della storiografia reazionaria austro – anglosassone che vorrebbe spiegare la relativa salvezza della zona di Milano  e della Polonia grazie al governo iper autoritario dei Visconti e al re campione di assolutismo Casimiro III. Invece non è affatto vero, furono proprio le poche e rare repubbliche a resistere meglio. Aggiungo, per non creare confusione con i ricordi scolastici  che qui non parliamo della peste manzoniana del Seicento che invece colpi in Italia la valle padana e soprattutto Milano dove morì addirittura il 74 % della popolazione. ma in questo caso, al contrario della vicenda medioevale, la pestilenza che qualche anno più tardi devastò anche il Sud colse lo Stivale già in grave crisi a causa della esclusione dalle rotte atlantiche e quindi la strage non portò né a un miglioramento dei salari reali, né a una riduzione della disuguaglianza che anzi aumentò in maniera notevole salvo che in qualche area come il Piemonte. In generale potremmo anche dire che fu il lungo periodo delle grandi pestilenze che calavano a intermittenza sull’Europa ad aver costruito la storia economica così come la conosciamo, ovvero orientata principalmente al capitale piuttosto che al lavoro con tutta la teorizzazione che ne è seguita. E solo quando agli inizi del Settecento, per una complessa serie di ragioni, queste finirono o si manifestarono in maniera circoscritta ed episodica,  si cominciarono ad addensare le forze che prima portarono alle rivoluzioni borghesi, questa volta non più cittadine, ma nazionali e poi a un secolo e mezzo di lotte sociali essendo divenuta la borghesia il succedaneo dei poteri precedenti.

Certo si trattava di pestilenze vere che non risparmiavano nessun famiglia, dove i carretti con i morti solcavano le strade e l’odore dei cadaveri bruciati saturava l’aria, ma anche una pestilenza simulata può avere gli stessi effetti, ovvero quelli  di consentire stratosferici accumuli di capitale perciò di potere, tanto che in un anno i patrimoni dei miliardari e dei loro gruppi sono più che raddoppiati  in mezzo all’infuriare della disoccupazione e delle file per gli aiuti alimentari. Ma dal momento che i morti effettivi non sono molto di più, anzi in molti luoghi. Italia compresa, sono addirittura meno nella fascia attiva della popolazione rispetto agli anni scorsi,  non esiste il vantaggio per così dire della decimazione della manodopera. Anzi la distruzione di attività commerciali, artigiane e di piccola o media industria in favore dei mega gruppi porta ad una violenta  accelerazione della disoccupazione da robot concentrando in 12 mesi un decennio  Dunque siamo di fronte a un’epidemia di influenza che avrà invece conseguenze ancora più dure della peste nera: del resto il cittadino di metà Trecento non poteva essere preso per il naso così facilmente come accade a noi che  viviamo tutto per esperienza indiretta, che siamo adusi all’irrealtà narrativa e dunque subiamo il facile affronto dell’illusionismo mediatico: non vedendo più morti del normale o comunque non molti più del normale nessuno  avrebbe potuto raccontare al cittadino di Milano, Firenze o Bologna delle favole favole senza che egli del cul facesse trombetta. Chissà magari è proprio adesso che cominciano i secoli bui.