SchettinoAlcuni amici mi hanno segnalato come notevole e interessante un articolo sull’epidemia, comparso sul Manifesto, ma tradotto da El diario, opera di tale Angel Luis Lara, eclettico sceneggiatore di una serie tv di ambito medico, nonché insegnante di “Studi culturali”, qualunque cosa significhi, all’università di New York. E naturalmente non potendo ignorare la gragnuola di segnalazioni lo sono andato a leggere, ma vi ho trovato  il solito confuso zibaldone salottiero di chi sta in bilico tra globalismo e  zero chilometrico, confuso tra Marx e Arcadia, e mentre campa dei tipici prodotti della civiltà contemporanea, ovvero la televisione spazzatura del “lo perdiamo lo perdiamo”, va in Chapas e prende lo stipendio degli Yanqui, gira tra El Retiro e Central park tanto per spargere un po’ di cherosene nell’alta atmosfera, è insomma in pieno un figlio del proprio tempo. Egli esprime l’ennesimo millenarismo questa volta di marca sinistra, accusando la comparsa del nuovo virus non tanto il modo di produzione, quanto il gigantismo della produzione che in campo agricolo favorisce lo spostamento dei virus da specie a specie e l’insalubrità generale. Anzi a un certo punto non si capisce bene dove voglia andare a parare perché sembra mettere sotto accusa la civiltà stessa e le sue pratiche alimentari  fin dalle origini con quel cinico vagheggiare arcadico e inconcludente che fa tendenza.

Ad ogni buon conto dopo queste analisi se proprio vogliamo chiamarle così che ripropongono un “sound” , non saprei come chiamarlo meglio, ormai logoro, arriva l’acmè del discorso, quello che è tanto piaciuto e che campeggia nel titolo del Manifesto: ” non torniamo alla normalità perché la normalità è il problema”. Non sono le specifiche parole dell’autore, ma ne rappresentano il senso: “Nonostante il fatto che il confinamento ci abbia apparentemente isolato gli uni dagli altri, lo stiamo vivendo insieme. Anche in questo il virus è paradossale: ci pone su un piano di relativa uguaglianza. In qualche modo, salva dalla nostra dimenticanza il concetto di umanità e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più preziosi con cui iniziare a tessere un altro modo di vivere e un’altra sensibilità.Non permettiamoci, ancora una volta protetti dal linguaggio della crisi, di imporci il ripristino intatto della struttura della catastrofe stessa.” In questo ha perfettamente ragione e perfettamente torto perché se è vero che la narrazione epidemica ripristina una memoria umana ed etica  non ci pone affatto su un piano di eguaglianza, anzi aumenta le distanze tra chi può permettersi la domiciliazione coatta e chi ne è rovinato, queste sono le tipiche cazzate da privilegiati che non si accorgono nemmeno di essere tali,  ma più in generale è il quadro ad essere privo di senso perché è esattamente quella normalità che egli esorta a rifiutare che sta creando la narrazione apocalittica sul coronavirus ovvero su  qualcosa che è accaduto molte volte nell’ultimo secolo, che anzi accade praticamente ogni anno, ma ogni anno passa sotto silenzio e che in questa occasione viene invece rivestito da un senso millenaristico ad opera di un potere che detiene l’informazione. Se non si parte da questo dato, ovvero che è la normalità ad aver creato l’eccezionalità per i suoi scopi non si va da nessuna parte e si rischia di fraintendere completamente l’occasione di mettere alla sbarra sistema liberista. Non per il nuovo virus perché i microrganismi fanno molto spesso salti di specie e lo facevano anche nelle società agro pastorali del tutto inermi, ma  perché l’allarme o il silenzio ormai sono gestiti dall’alto e in questo caso per aizzare il terrore si arriva all’assurdo di considerare ogni decesso come opera del coronavirus come se non esistessero più i 480 morti di cancro al giorno né i 60 mila morti per patologie polmonari all’anno, né i 10 o 20 mila per influenza, né i 50 mila morti l’anno per infezioni ospedaliere.

Cadere in questa trappola significa accettare tutto ciò che arriverà dall’alto per “proteggerci” ossia militarizzazione del territorio, compressione delle libertà costituzionali, task force anti libertà costruite da informatori tra i più ambigui arlecchini del potere ( David Puente vale per tutti) , ovvero facendo fare i giudici agli avvocati,   ristrutturazione economica a danno dei più deboli, distruzione dello stato e della rappresentanza, imposizioni reazionarie del Mes, il denaro dall’elicottero per mantenere plebi senza lavoro e ormai prive di identità, eliminazione del welfare. Ma non vedete il felice protagonismo dei grandi ricchi che ci vogliono salvare dopo averci impoverito e che sono i principali angeli dell’Apocalisse semplicemente perché questo conviene al grande capitale il quale  si serve della narrazione  epidemica per fare un salto di qualità nella distruzione della democrazia?  E del resto in Italia osserviamo come tutte queste linee si intreccino e si governi con decreti del tutto illegittimi, dentro un quadro del tutto fuori dalla Costituzione e sulla base di indicazioni che scientifico o di medico non hanno nulla, semplicemente fomentano e sfruttano una paura che se fosse sincera o quanto meno lucida dovrebbe esserci ogni anno. Tutto questo dopo aver minimizzato per quasi due mesi ciò che adesso enfatizzano oltre ogni limite anche per nascondere il disastro sanitario provocato in anni di incuria, tagli di fondi, privatizzazioni, opacità su ogni fronte.  Per questo andrà tutto male, proprio grazie a chi dice che andrà tutto bene, ripetendo un tipico mantra dell’era neoliberista e a dispetto di chi vuole vedere in tutto questo l’occasione per una fuoriuscita dal paradigma contemporaneo con tutto il suo carico di immense disuguaglianze e ipocrisie. Non si capisce che la decostruzione è già in atto proprio per mano degli speculatori che vogliono ristrutturare una forma di economia già arrivata al fallimento per sue logiche interne e che per sopravvivere hanno bisogno di un maggiore e capillare controllo sociale. L’epidemia in questo senso è un’occasione da non perdere e anzi da coltivare, meglio se con misure di segregazione che sono utili semmai a mantenere il virus in circolo: credere all’apocalisse è il primo passo verso la resa.