Dopo la crisi dei subprime ci era stato fatto credere che sarebbero state imposte nuove e più severe regole per impedire che in futuro la situazione dell’economia finanziaria potesse degenerare a causa di prestiti folli erogati al solo scopo di impacchettarli in prodotti finanziari cosiddetti derivati, gettati sul tavolo della roulette come fossero moneta sonante e non fiches che la casa da gioco non è in grado di pagare con soldi reali. Ma nulla è stato fatto in questo senso, salvo stampare a tutta birra nuovo denaro che è servito non solo a salvare le banche e a indurre una liquidità che si è tradotta in nequizie azionarie delle grandi aziende, e ha indotto i soggetti finanziati ha a giocare sempre di più. Se nel 2008 il valore delle transazioni sui derivati e affini ammontava a 660 mila miliardi dollari, ovvero a 11 volte il pil mondiale, adesso quella cifra, ben lontana dal diminuire è arrivata a livelli stratosferici, a 2400 milioni di miliardi di dollari, vale a dire a 33 volte il pil mondiale del 2017.
Per tornare al casinò, le fiches in mano ai giocatori equivalgono a 33 volte la cifra che la direzione ha in cassa, ovvero a 33 volte il valore del lavoro umano sul pianeta o per fare un altro esempio a un mutuo la cui rata annuale è 33 volte superiore del reddito. In pratica è come se avessimo bruciato tutto il lavoro e la produzione da qui al 2051 in cambio di cartaccia. denaro del Monopoli che ha una credibilità solo fino a quando le poche persone che fanno il mercato finanziario e detengono l’informazione dicono che è così. E’ una delle ragioni per le quali le elites sono così terrorizzate dal mutamento di atmosfera che si è verificato in questi ultimi anni: se il loro matrix, dovesse cedere non ci sarebbe scampo per ottimati e oligarchi, servitù ai piani alti compresa. E non solo: significherebbe anche il crollo rumoroso dell’impero americano travolto assieme alla sua arma letale, ovvero il dollaro come moneta di scambio universale. Anche l’Europa è pienamente coinvolta in questo massacro potenziale visto che secondo Mediobanca i 27 maggiori istituti di credito del continente detengono 283 mila miliardi di euro in derivati e la Deutsche Bank da sola ne ha in cassa oltre 48 mila miliardi, una cifra molto più alta dei 32 mila detenuti da tutte le banche giapponesi messe insieme e superando alla grande JPMorgan che ne ha appena 40 mila, ovvero tre volte il pil Usa, robetta rispetto a Db che ha in pancia robaccia per 15 volte il Pil tedesco. Di fatto si tratta di una banca fallita che gli stress test hanno considerato in buona salute solo per l’assurdità di considerare ” pericolosissime” le sofferenze dovute a prestiti che singoli e famiglie fanno fatica a ripagare, mentre i titoli spazzatura sono considerati oro zecchino.
La situazione deve essere davvero pesante se persino il Sole 24 ore scrive che “in questa Unione Europea il comando effettivo è in mano a gente che dovrebbe portare i libri in tribunale ed essere tombata nelle antiche galere per falliti. Ma che ancora riesce a gestire il peso della Germania (e fino a poco fa anche della Francia) come determinante di qualsiasi politica comunitaria. Dunque anche, e soprattutto, la scrittura delle “regole” e dei trattati. E la loro “interpretazione autentica”. E’ un sistema in cui i morti sopravvivono succhiando il sangue dei vivi (o dei moribondi, visto lo stato dell’economia italiana, ormai priva di soggetti economici di grande spessore internazionale). Non è un sistema, in ogni caso, che possa metterci al riparo dalle ondate di tsunami che si vanno addensando nell’oceano primordiale dei “derivati”. Davvero straordinario per un giornale della Confindustria che ha sempre difeso le concezioni che hanno portato alla finanziarizzazione planetaria con annesso casino e alla marginalizzazione della nostra economia nonché la status quo europeo, tanto che persino in questi giorni fa campagna perché il governo accetti i diktat posti da quelli che dovrebbero essere in galera. Ora ci viene detto nelle e fra le righe che il sistema cui molti attribuiscono la capacità di essere uno scudo, non solo non è tale ma costituisce un’ulteriore minaccia. Un pugnale alla gola insomma.
Il problema di uscire dalla finanziarizzazione spinta dell’economia è data dal fatto che dopo quarant’anni di pensiero unico neoliberista ci ritroviamo con un’intera generazione di specialisti che conoscono solo quella realtà e non riescono a concepire alternative alla creazione di denaro attraverso la speculazione borsistica.
Penso ai consiglieri economici dei capi di governo e dei capi di Stato, agli economisti che hanno insegnato nelle scuole di amministrazione aziendale e nelle università le teorie del rischio, dei mercati del capitale, delle funzioni del denaro più idonee ad orientare le azioni dei dirigenti finanziari.
E penso agli intellettuali che hanno elaborato il corpus ideologico neoliberista.
Queste persone si trovano ai vertici di tutte le istituzioni economiche, finanziarie e universitarie del pianeta e hanno formato le nuove generazioni di studenti che prenderanno il loro posto.
Non si tratta solo di una questione materiale, ma anche culturale: non si è dato spazio in questi anni a nessun tipo di critica teorica per paura di incrinare l’edificio già malfunzionante del sistema finanziario e adesso occorrerebbe una rivoluzione non solo nelle piazze, ma anche nei dipartimenti universitari di economia e nei think tank di Europa e Stati Uniti.