Quasi sempre le campagne pubblicitarie e promozionali mi fanno venire l’orticaria e un senso di nausea perché fanno parte integrante del processo digestivo del capitalismo e anche di quell’intelligenza che pare più formata dal cervello intestinale, arcaico reperto delle prime forme di vita complessa in via di diversificare i loro piani biologici. L’infortunio di Dolce e Gabbana in Cina è però più interessante perché ci offre uno squarcio per guardare oltre la claustrofobia occidentale e un globalismo neo liberista che in realtà si propone come omologazione planetaria e come neo colonialismo globale, cosa che spunta fuori anche in modo inconscio e subliminale. La vicenda credo sia nota un po’ a tutti: si tratta di tre spot per lanciare il marchio nel celeste impero in cui si vede una modella, ovviamente cinese che cerca di mangiare con le bacchette un cannolo alla siciliana o una pizza o un piatto di spaghetti.
La cosa è stata interpretata giustamente come uno sfottò e l’azienda che voleva creare un evento kolossal è stata costretta a chiedere scusa con un altro video, non prima però che si diffondesse un messaggio in cui Stefano Gabbana, rispondendo a una critica proprio agli spot incriminati, offende la Cina e la sua cultura, creando così un caso diplomatico che è costata a D&G l’annullamento dell’evento e la cancellazione dei prodotti del marchio dai principali siti e-commerce cinesi. E probabilmente ci vorrà molto tempo prima di recuperare il tempo perduto su quello che è oggi il secondo mercato del lusso del pianeta e fra quattro anni sarà il primo: l’intreccio fra presuntuosa e caprina ignoranza e una incontenibile mancanza di rispetto è stata una miscela troppo velenosa per essere sopportata. Innanzitutto sono circa 2000 anni che i cinesi mangiano spaghetti, tagliolini e tagliatelle con le bacchette, cosa evidentemente ignorata dai creativi della minchia che hanno messo in piedi questo capolavoro, ma l’impresa non deve essere poi così difficile visto che la pasta lunga era mangiata con le mani o nelle case nobili e signorili anche con forchette a due rebbi che non è poi molto diverso. Io stesso che le bacchette proprio non le so usare visto che la mia manualità è uguale a zero, l’unica cosa che riesco a mangiare agevolmente con queste è proprio la pasta cinese o asiatica in genere. Secondo fattore che tuttavia dovrebbe essere più alla portata di cretino è che nelle cucine orientali il cibo viene ridotto a piccoli bocconi e quindi la forchetta può rivelarsi inutile o addirittura scomoda. Per di più anche una superficiale conoscenza della storia della cucina ci mostra facilmente che è la forchetta, diffusa grazie a Caterina de’ Medici come uso di corte, ad aver impattato sulla forma e le preparazioni del cibo e non viceversa.
A parte questo è del tutto evidente che gli occidentali sono spontaneamente convinti che i loro usi e costumi, ideologie, visioni del mondo, modi di essere siano migliori e che dunque ogni raffronto non può che essere scherzoso e noncurante dei valori attribuiti alle cose al di fuori del proprio ambito. Che poi questo incidente sia capitato proprio a un azienda di “mangiaspaghetti” come ci chiamano generalmente, l’unico altro Paese al di fuori dell’estremo oriente dove l’uso di pasta (e di riso) è la base dell’alimentazione, suona come paradossale, anche se ormai vogliamo a tutti i costi fare gli americani pensando così di evolverci e non comprendo l’involuzione catastrofica di gusto e di intelligenza alla quale andiamo incontro. Ma insomma il fatto è che questo atteggiamento di curiosa e tollerante indulgenza assume un che di patetico e di ridicolo o di inquietante quando impatta non più con l’esotismo colonialista, ma con i giganti dell’estremo oriente che sono economicamente, demograficamente e ormai anche tecnologicamente maggioranza.
Anche così forse non varrebbe la pena di parlare di questo incidente se non fosse che questo atteggiamento fondamentale è alla radice del fallimento totale della cosiddetta accoglienza sulle due sponde dell’atlantico: le comunità che si sono formate non sono mai state valorizzate, ma soltanto tollerate e portate all’auto ghettizzazione nella convinzione istintiva di non poter imparare nulla da loro e di poter fare solo i maestrini e i civilizzatori di barbari. Basta appena una passata di spugna sul politicamente corretto e su certi umanesimi da poltrona, che viene fuori la vera natura del’imperialismo ontologico. Lo stesso che si rivela facile alla commozione degli individui, ma anche alla strage di popoli e culture.
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