Probabilmente l’amministrazione Usa è vittima di se stessa e di Wall Street. Probabilmente pensava che Mosca non avrebbe reagito in maniera decisa alle vicende ucraine per preservare il proprio mercato energetico insidiato dalla nuova età dell’oro dello shale gas proclamata da Obama. Certamente non si è data pena di accertare se dietro le cifre mirabolanti che sono state sparate negli ultimi due o tre anni ci sia più la realtà o la fantasia degli speculatori. Fatto sta che l’idea di sostituire il gas russo con quello americano è solo un bluff per molti ovvi motivi e per uno nascosto.
I motivi ovvi sono che l’estrazione dello shale gas è più costosa di quella del gas convenzionale, che il costo del trasporto in Europa del metano Usa lo renderebbero molto più oneroso rispetto a quello russo, centroasiatico o nordafricano e infine che per approntare le strutture necessarie a un simile traffico occorrerebbe almeno un decennio oltre che alcuni miliardi di euro. Ma la ragione principale è che l’età dell’oro non esiste, è una bufala, una ennesima bolla di Wall Street. Fin da subito i ricercatori seri avevano espresso molti dubbi sulle migliaia di miliardi di barili che andavano ad ingrassare le sedute di borsa, ma oggi, a qualche anno di distanza, l’esperienza concreta nei pozzi di fratturazione e nuove ricerche danno corpo alle iniziali perplessità e ai sospetti di speculazione. In pratica è molto probabile che il boom sia terminato ancor prima che si possano realizzare strutture adatte ad accogliere il gas americano.
Un recente studio del Post Carbon Institute (qui), realizzato da un geologo che ha lavorato nell’industria del petrolio e da un’analista di Wall Street parlano di una realtà molto diversa e confermano i dubbi. L’analisi di 65 mila pozzi di fracking in 31 giacimenti rivela che le riserve non sono state soltanto sovrastimate, ma addirittura inventate per favorire fusioni societarie e acquisizioni all’ombra del nuovo secolo di abbondanza. In realtà, come già si deduceva da molti studi condotti sul campo, il declino del rendimento dei pozzi è rapidissimo, dell’80% medio in tre anni, il che comporta per i giacimenti nel loro complesso e nonostante l’apertura di sempre nuovi pozzi, un calo di produzione del 35% l’anno. In effetti per mantenere costante l’estrazione e continuare a restituire l’impressione di essere nell’età dell’oro vanno scavati la bellezza di 7000 nuovi pozzi all’anno con una spesa di 42 miliardi di dollari. E questo a fronte di una selvaggia devastazione ambientale e di un aumento di posti di lavoro scarso e incerto.
D’altronde questo report si riferisce ai giacimenti nelle aree più favorevoli a questo tipo di estrazione: giacimenti meno ricchi implicano crolli produttivi più rapidi e spese molto più alte. Ma anche supponendo che si “lavorino” centinaia di nuovi ricchi giacimenti è difficile che il boom possa durare più di un decennio. Come del resto era stato detto e ipotizzato già un parecchi anni fa dai geologi, stupefatti dalle cifre gigantesche che parlavano di 2670 miliardi di barili di petrolio equivalente più contorno di bitumi e oli pesanti. Solo una modesta parte può essere realmente sfruttata prima che l’energia necessaria all’estrazione pareggi o superi quella estratta. Già oggi, in condizioni non più ottimali, ma comunque buone, per ogni 5 barili equivalenti se ne consuma uno per l’estrazione.
Tutte cose che non possono sfuggire all’amministrazione Usa, anche se la tentazione di credere e far credere a un secondo miracolo americano è fortissima e probabilmente fa aggio sui dati reali. Ma intanto Obama con l’età dell’oro si è conquistato la seconda elezione e probabilmente spera che Putin e gli europei caschino con tutti e due i piedi di fronte a una “verità” in cui i mercati credono. Oppure – ipotesi più fondata – Washington cerca di prefigurare un mercato per vendere idrocarburi che in prospettiva sono ad altissimo costo, in modo da evitare il precoce scoppio di una nuova bolla. Forse ha proprio ragione il Post Carbon Institute, quando conclude: forse l’America dovrebbe invece prendere in considerazione l’esportazione di stupidità. E ‘un bene che sembra avere in surplus.
Se anche cose come il fracking sono una bufala inventata per ridare prestigio a una nazione col prestigio ad altezza di tacco mi chiedo cosa rimane dell’idea che la stampa sia il quarto potere che informa la società per consentire di operare le scelte che ci portano verso un futuro migliore?
Ma la riflessione che vorrei fare oggi riguarda non tanto il presente quanto il passato. Siamo tutti, chi più chi meno, tributari di idee che ci sono state trasmesse attraverso i libri e i media, giornali, radio, tv. Rispetto alle falsità e teatralizzazioni che oggi vediamo essere così diffuse e coinvolgere qualunque tipo di evento per cui nulla, ma proprio nulla, è quello che sembra, che garanzie abbiamo che nel passato, quando non esisteva internet e non avevamo alcun mezzo per controllare indipendentemente le fandonie di regime, non ci sia stato letteralmente fatto credere di tutto? Qual è, in altre parole, il valore della tradizione che ci è stata consegnata e che, soprattutto, per chi è sulla scena del pianeta da qualche decennio, è anche difficile da abbandonare perché è ormai parte integrante di noi?
Chiudo con qualche aggiornamento in merito alla teatralizzazione ucraina. La teatralizzazione è, nella mia definizione, la creazione di una narrativa (in realtà un vero e proprio copione) in cui gli attori, che possono anche essere governi, partiti, capi di stato, giornalisti ma anche l’opinione pubblica stessa, sono per lo più inconsapevoli di svolgere un ruolo predisposto in anticipo per loro in accordo a finalità completamente diverse da quelle apparenti. L’Ucraina è la più vistosa di queste teatralizzazioni in atto. Tutti pensano che si sia quasi sull’orlo di una terza guerra mondiale (e potrebbe anche essere così, intendiamoci bene, visto che non abbiamo il copione sotto gli occhi) ma le immediate conseguenze rivelano uno scenario alternativo: le sanzioni alla Russia sono di cartapesta, non mordono, la Russia non ne è minimamente preoccupata e mentre i leader dell’Occidente tuonano contro di lei in toni asperrimi continuano, neanche tanto segretamente, a farci ogni sorta di affari. Gli Stati Uniti, invece, ne approfittano per sfruttare l’occasione d’oro e premere a più non posso sui paesi alleati per vendere più armi a tutti quanti. Il tutto necessita ovviamente di un’atmosfera quasi pre-bellica e di un’enfatizzazione costante del “pericolo” russo con dichiarazioni al fulmicotone dei vari “attori” della teatralizzazione, da David Cameron alla Merkel. I frutti di questo panico guerrafondaio, però, si vedono già: dalla Polonia i burattini di Obama avanzano richieste di inviare almeno 10.000 uomini al confine comune russo-polacco (che come ricorda la Pravda in un articolo di ieri è di dimensioni quasi lillipuziane) mentre la pubblica opinione europea viene piano piano dissuasa dal ridurre le spese militari, logica reazione alla crisi economica che stiamo vivendo, a vantaggio non solo di un mantenimento ma addirittura di un incremento della spesa globale.
Ecco dunque a cosa sta servendo il babau russo e tutta la grottesca vicenda ucraina. Di qui l’ipotesi, già formulata altre volte, del baratto tra Obama e Putin che potremmo esprimere così: noi americani facciamo in modo di rovesciare il governo legittimo di Janukovich, voi russi invadete la Crimea e ve la annettete, noi americani ci mettiamo a fare gli sdegnati, convinciamo le opinioni pubbliche dell’Occidente che c’è un nuovo pericolo russo alle porte di casa e, come logica conseguenza, ci prendiamo le copiose commesse militari che i paesi europei spaventati ci faranno avere, voi russi intanto guadagnerete di più sul gas che vendete agli ucraini e noi americani sui prestiti che dovremo fare all’Ucraina per permetterle di comprarsi quel gas ora divenuto molto più caro!
Mano mano che questa teatralizzazione si dipana, le persone muoiono veramente, la gente si accende di sdegno, i giornalisti rispolverano i loro vecchi credo pro e contro la Russia, in America furoreggia l’antico spirito antisovietico, anche se ormai Putin è più capitalista della Goldman Sachs, e tutti noi, che lo vogliamo o no, siamo obbligati a confrontarci con un problema che forse non esiste ma è solo una grande fantastica e leggermente cruenta messinscena, dove gli eventuali morti, finita la rappresentazione, non si rialzeranno più.
Tempo fa ho letto un articolo per cui a tutt’oggi gli americani si sono regolarmente rifiutati di sottoporre ad analisi il gas estratto con fracking. Qualche tempo dopo hanno ottenuto concessioni dalla Polonia, che però il gas estratto l’ha fatto analizzare, e hanno scoperto che è di scarsissima qualità, con altissime percentuali di impurità e che quindi necessita di ulteriori cicli di raffinazione. Insomma: l’ennesima bufala della finanza cui la politica fa finta di credere per non perdere la faccia, i voti o i finanziamenti elettorali. Esattamente quello che NATO, UE e USA stanno facendo con la crisi ucraina, un ostinarsi a non volersi rendere conto di aver fallito su tutta la linea solo per salvare la faccia.