Anna Lombroso per il Simplicissimus
Tutto il mondo ci guarda. Eh certo, direte voi, un popolo, un governo, le istituzioni democratiche tenute sotto scacco da un condannato sessuomane e paranoico….
Macché, è che siamo l’unico paese che realizza un talent show letterario. A dirlo è uno dei tre “giudici”, in virtù dell’essere “afropolitana” per sua definizione e anche, perché no? globalist, e se lo dice lei che gira il mondo non solo dei libri.
Ah si perché non vi ho detto che il format del talent show andato in onda proprio ieri in una pudica tarda sera, a conferma che si tratta di un programma a alto valore aggiunto culturale proprio come Marzullo, è lo stesso di Masterchef. Tre cuochi, pardon, tre scrittori giudicano aspiranti scrittori che concorrono con il loro manoscritto e con un inventario di disgrazie e tormenti, come da tradizione, per selezionare il vincitore, il cui libro sarà pubblicato in 100 mila copie da Bompiani.
E sono loro, i giudici, proprio come in Masterchef, a farla da protagonisti. Si sono divisi i ruoli, in una ferrea sceneggiatura: De Carlo (l’ho evitato, dopo aver scorso tre o quattro pagine del suo romanzi d’esordio, per una volta soddisfatta di aver perso un treno) è il poliziotto cattivo, ghignante e sarcastico che sputa vetriolo. Nemmeno di lei dell’afropolitana glamour, che pare uscita da sexe and the city,ho letto l’unico romanzo, “un’esplorazione estatica della vita interiore dei suoi membri, scritto con la sua prosa acuminata e una tecnica impeccabile”, come recita la sua casa editrice che, maliziosamente, attribuisce il suo successo presso autorità riconosciute nel Gotha letterario “forse anche alla sua bellezza”. Bella, ma non spietata, la sua parte in recita è quella dello sguardo umano, dell’approccio psicologico, anzi a ben vedere quello della diagnostica medica,se i postulanti esibiscono una densa tipologia di disturmi dell’anima e del comportamento. A De Cataldo, giudice di nome e di fatto, spetta il ruolo pedagogico e, a differenza di altri pittoreschi magistrati, di custode della proprietà linguistica e di tutore dell’egemonia della “trama”.
Condotti, dopo lo loro “confessione” effettuata tirando giù la zip e esibendo insuccessi e malesseri, fallimenti e patologie, in contesti edificanti e penitenziali o immersi in gustose situazioni nazional popolari, i candidati tornano in classe e si cimentano in un tema, dal cui svolgimento dipende la loro ammissione alla severa selezione.
A differenza che in Masterchef, il pubblico è condannato ad assaggiare i prodotti dei candidati. Ed è allora che chiunque abbia avuto il merito nel corso di un trasloco, di buttare senza ripensamenti le poesie scritte a quindici anni, chiunque sia fiero di vergognarsi di rileggere il Moleskine nel quale ha buttato giù in età giovanile l’impianto del suo romanzi d’esordio, sentendosi Salinger, è allora che come davanto alla Corrida dei dilettanti allo sbaraglio, prova un tremendo imbarazzo per l’esibizione sfrontata di viscere, e spegne il televisore come ho fatto io.
Ne avevo già scritto di Masterpiece, qui https://ilsimplicissimus2.com/2013/08/19/grande-fratello-libro/. E ne ho la conferma: c’è qualcosa di molto crudele e perverso nel dare spago alle velleità di chi in un mondo nel quale ormai l’unica uguaglianza è quella della povertà, della perdita di diritti e certezze, della solitudine, pensa di appartenere a un’aristocrazia del sentire, agli alti gradi di una gerarchia delle emozioni, o ritiene di essere “diverso”, apocalittico, in sostanza superiore, grazie alla sofferenza, al dolore, allo spaesamento, al sentirsi fuori posto, sentimenti legittimi per carità, ma che nulla hanno a che fare con la creatività o l’arte.
Che se poi la terapia, la “cura” per affrancarsi dalla malinconia, dalla depressione, dall’isolamento, dalla trasgressione è la scrittura, ben venga, ma forse potrebbe limitarsi a un rito solitario, senza aspirare a riempire gli scaffali degli invenduti delle librerie, senza volerlo ammannire a tutti i costi sulle nostre tavole su un letto di crescione come i piatti delle star della cucina. Perché invece in un Paese dove informazione, tv e editoria sono accentrate nelle mani di chi ne ha fatto mediocri prodotti di consumo, le stesse di chi ha lavorato per immiserire conoscenza, cultura, bellezza, arte in modo da alienarle, appropriarsene e rivenderle, è inevitabile che anche le aspirazioni più domestiche e ingenue, le velleità più innocenti vengano costrette alle regole del marketing, riducendo sogni, speranze, propositi a un brand commerciabile nella peggior televisione, quella che detta i suoi modi alla realtà: giustizia a Forum, sanità a Greys Anatomy, democrazia a Ballarò, le relazioni sentimentali al Grande Fratello, il futuro nei “pacchi” e adesso la narrativa a Masterpiece.
Anna, grazie, sto revisionando e, anarchicamente, penso che per evitare di genuflettermi a questa impresentabile editoria, procederò alla pubblicazione “fai da te”; oggi è facile. Sarò poi felice di poter donare il prodotto finito. Un piccolo piacere.
naturalmente i gusti personali non si contestano, e se un autore piace non mi permetto di criticare il lettore; io ammetto di aver letto, dopo Treno di panna, anche Due di due e Macno, e di aver provato Uto, avendoli pescati usati su bancarelle solidali di vendite di beneficienza. Del primo ricordo vagamente le prime pagine, degli altri non riesco. Mi trovo a immaginare che se oggi De Carlo fosse in crisi personale non potrebbe comunque farne carico ai malcapitati che hanno partecipato al programma che, oltre tutto, penso gli riconosca un discreto compenso oltre che la visibilità. I suddetti partecipanti, comunque, possono anche ottenere la nostra comprensione, ma aggiungerei che se hanno cercato ed accettato la partecipazione e ora si trovano a disagio possono mollare, protestare o… tenersi il risultato. Chi è causa del suo mal, diceva mia nonna, pianga se stesso.
Non essere troppo riduttivi rispetto ai libri di De Carlo. Treno di Panna è l’unico suo libro, pessimo, che non mi è piaciuto, e per fortuna non l’ho letto per primo se no magari anche io mi sarei fermato lì. Alcuni libri sono grandiosi viaggi della fantasia nel reale, Macno (con un personaggio fra D’Alema e Berlusconi odierni, ma scritto nel 84) e Villa Metaphora, ad esempio, e ha inventato personaggi meravigliosi (Uto, Durante). Inoltre è, a mio parere, fra i pochissimi autori italiani ad avere una sua “voce” immediatamente riconoscibile e non affatto banale.
Che ci fa in questa trasmissione non lo so, e il De Carlo cattivo cattivo che ho visto su Blob non è il De Carlo che conosco, schivo e dedita ad una vita ritirata. Forse è in crisi personale e pensa di prendere in questo modo la sua vendetta su un mondo editoriale che guarda solo al proprio ombelico (e quanti premi vi sono appese) e un mondo intellettuale che lo snobba da sempre.
oh Serena è il tempo delle visbilità, del quarto d’ora di notorietà, gradito anche se si viene umiliati e dileggiati..
si i libri, sospetto, siano frutto omologante dei redattori delle case editrici che nulla ha a che fare con la creatività e il talento.. Ci resta solo da “rileggere”..ma il tuo scritto lo leggerei volentieri
Non ho visto la trasmissione: meno male. Stanotte ho avuto una noiosa colica e se l’avessi vista l’avrei attribuita a questa specie di trio monnezza (locuzione cara ai romani, ma di facile comprensione) di cui si parla nel post. Quanto poi al format e all’idea di svendere quel poco di dignità che potrebbe restare in un’opera letteraria, concordo pienamente con la tua analisi e amaramente la condivido.
Tempo fa scrissi anche io una specie di narrazione in cui raccontavo la scuola da dentro; non mi dilungo e ho citato l’esperienza solo perché,ho sperimentato il percorso: ho inviato il testo a 4 editori (giusto per accontentare i miei studenti che ci tenevano) e mi rispose uno solo lodando il libro, la scrittura ben confezionata e divertente che si sarebbe prestata anche a una sceneggiatura ecc ecc ma aggiungendo che non era un romanzo e quindi non interessava. Risposi ringraziando e replicando solo che infatti non era un romanzo e che di fiction scolastiche c’è già il pieno.
Mi scuso per la parentesi autobiografica e concludo: rileggendomi dopo qualche tempo m’è sembrato che la mia scrittura avrebbe potuto essere assai migliore (infatti sto correggendomi) e che eventualmente mi sarebbe stata molto più utile una critica motivata in questo senso invece di una classificazione inservibile.
Ma tornando al tema: oggi a me sembra prevalga l’omologazione anche in letteratura; i testi letterari hanno tutti lo stesso stile, spesso sono frutto di riscritture, cercano di suscitare sorpresa con frasi d’effetto ma di interessante non si trovano che briciole. Per questo rileggo i grandi e spulcio i nuovi, ma non li acquisto.
Lessi De Carlo quando esordì con Treno di panna e comprai il libro perché avevo sentito un’intervista sua alla radio in cui diceva che il suo maestro era Calvino: ah! come scorreva tumultuosa la millanteria in quella frase. Probabilmente hanno scartato l’Andrea come giudice a Ballando con le stelle e s’è imbucato coi suoi degni colleghi in questa disdicevole (ma si dice ancora disdicevole?) fiera della tristezza.
Grazie Anna, sottoscrivo ogni tua virgola.
tutto sacrosanto ma lasciami stare Grey’s Anatomy che tra tutta questa m. si eleva come la Space Needle di Seattle 🙂