La crescita. E’ una fede, un feticcio, un abracadabra: il neoliberismo per essere sostenuto nelle sue prassi e nelle sue teorie ha assoluto bisogno di questa ipotesi, magica e controfattuale dal momento che le risorse non sono infinite e anzi cominciano a dare i primi segnali di esaurimento. La crisi che imperversa ormai da 5 anni ne è il primo segnale: è nata dalla bolla finanziaria, ma si alimenta degli alti costi dell’energia che nelle economie di mercato fanno aumentare il valore dei beni con una progressione inevitabilmente superiore a quelli dei salari e delle retribuzioni. In passato le impennate dei prezzi erano dovuti a fattori contingenti, geopolitici o speculativi per cui rientravano giusto in tempo per rassicurare gli economisti sulla cicilicità del sistema: ma ora ci troviamo di fronte a un fenomeno diverso a un giro di boa nella produzione dei combustibili fossili, al lento esaurimento dei giacimenti vecchi e alla loro sostituzione con tecnologie ad altissimo impatto ambientale e comunque enormemente più costose rispetto a quelle tradizionali.
E’ fin troppo ovvio che aspettarsi il ritorno alla crescita, come se fossimo dentro al ciclo e non alla fine di un ciclo lungo più di un secolo, è solo un atto di fede. Ma è una fede che non demorde, che nasconde la necessità di approdare a un nuovo paradigma economico: se le idee politiche e le visioni dell’uomo che si nascondono dietro le teorie liberiste rischiano di perdere la parola magica della crescita, allora basta affidare al mercato, ai suoi interessi e ai suoi meccanismi l’incarico di rimandare la carenza a un tempo più lontano e indefinito. Recentemente un rapporto dell’ International Energy Agency (IEA) sul petrolio e il gas, ha ipotizzato che nel 2020 gli stati uniti torneranno ad avere autonomia energetica e a produrre più petrolio dell’Arabia Saudita: una bella iniezione do ottimismo se non fosse che ormai anche i pescatori della Nuova Guinea sanno che i dati di questa istituzione sono spesso del tutto inattendibili. e del resto non si capirebbe come mai nel bel mezzo di tanta abbondanza promessa i prezzi del petrolio e del gas rimangano così alti.
Le cose stanno in realtà molto diversamente: già da qualche anno e precisamente dal 2005 la produzione di petrolio non segue la crescita della domanda ed è diventata “anelastica”: da allora la produzione è rimasta invariata con un aumento del prezzo di circa il 15% l’anno, una situazione fin troppo chiara alla quale si risponde sventolando mirabolanti nuove riserve per la più parte non accertate, ma in realtà la produzione dei campi petroliferi in tutto il mondo sta declinando con percentuali che vanno dal 4,5 al 6,7% l’anno. Dunque il petrolio e il gas che si ottengono dalle fonti non convenzionali, scisti, sabbie bituminose, biocarburanti, shale gas ottenuto dalle fratturazioni idrauliche non ha fatto altro che sostituire le perdite, lasciando la netta sensazione che le gigantesche riserve di cui si parla sono puramente teoriche e insomma una sorta di inganno per mantenere vivo il mercato del settore e non far spostare altrove gli investimenti. Di fatto la produzione di petrolio a partire dalle sabbie bituminose del Canada dovrebbe raggiungere, secondo le attese, appena i 4,7 milioni di barili al giorno per il 2035. Quello ottenuto dalle sabbie bituminose del Venezuela è attualmente meno di 2 milioni di barili al giorno, con ben poche prospettive di spettacolari aumenti.
D’altro canto i biocarburanti sottraggono immensi territori a un’agricoltura che è costantemente al limite della produttività, tanto che un qualsiasi evento – siccità o eccessiva piovosità, per esempio – crea vuoti spaventosi nelle riserve alimentari, mentre lo shale gas ottenuto mediante fratturazione idraulica, una tecnica molto vecchia in realtà, porta a devastazioni ambientali improponibili quanto meno nelle aree densamente abitate per l’inquinamento delle falde, ma letale anche per l’immissione di gas serra derivanti dalla combustione di gas sporco negli impianti. Secondo la Banca Mondiale che non è proprio un covo di bolscevichi, il gas bruciato con questo sistema, negli impianti già in funzione, comporta l’emissione di 360 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, vale a dire quanto ne buttano fuori 70 milioni di automobili.
Ma rimane comunque molto dubbia la reale consistenza delle riserve effettive: i siti Usa dove questa forma di estrazione era già praticata da tempo hanno rivelato un declino produttivo inaspettatamente rapido rispetto alle attese. Qualcosa di simile a questa manfrina è avventa anche col carbone nel cui caso le stime enfatiche si son ridotte del 50% e addirittura di cinque volte rispetto agli scenari, formulati anni fa dall’Ipcc, l’organismo dell’ONU sul cambiamento climatico.
In poche parole è cominciato il declino, ma viene data l’impressione di nuova e grande abbondanza, si spacciano tecnologie degli anni ’60 per novità in grado di restituire un indefinito profluvio di risorse e dunque un nuovo impulso alla fede nella crescita infinita. E mentre le persone si rassicurano snobbando la necessità di un nuovo modello di crescita qualitativo, pensando che le vacche magre siano passeggere, chi tira i fili sta architettando in effetti un nuovo assetto: quello in cui poche persone potranno avere un accesso senza limiti alle risorse. E’ la nuova abbondanza delle oligarchie.
L’avventura shale gas ha permesso di estrarre metano in perdita: nessun operatore è riuscito a pareggiare i costi negli ultimi anni. E’ stata una operazione speculativa che ha bruciato i soldi di tutti per regalare metano a qualcuno. I soldi spesi erano i nostri, e la bolletta che calava era quella dei nostri amiconi a stelle e strisce.
Ora la festa si sta concludendo, e i rig disponibili vengono riorientati alla ricerca di petrolio non convenzionale. Se abbiamo un minimo di fortuna, qui in Italia ci eviteremo la iattura della idrofratturazione. Non ci eviteremo i dissesti finanziari dovuti al collasso di alcune compagnie che operavano nel gas da scisti….
Impeccabile, ma c’e’ da aggiungere che tutta ‘sta storia dei miracolosi depositi di “shale gas” casualmente in America ha tutte le caratteristiche della prossima megatruffa finanziaria stile mutuo subprime. Stando al blog di Dmitri Orlov, i “campi petroliferi” in questione hanno una resa infima, i produttori si rifiutano categoricamente di sottoporre l’estratto ad analisi e incidentalmente gli annunci clamorosi fanno salire alle stelle il valore delle azioni in Borsa.
Altro indizio interessante: i polacchi hanno condotto estrazioni allo stesso modo in bacini molto simili geologicamente ai campi americani, ma loro hanno analizzato il prodotto e hanno abbandonato l’intero progetto. Perchè, in breve, il metano estratto ha bisogno di avere meno del 20% di azoto per essere utilizzabile – sennò non brucia – e se ne dovesse avere di più, necessita di essere raffinato. Il metano estratto dai polacchi ha percentuali di azoto dal 50% in su.
C’è un qualcosa che sta cambiando,molto velocemente. Mentre prima c’era un intreccio tra economia e stato e i partiti ,i sindacati, gli apparati pubblici rappresentavano facce di un processo produttivo socializzato, attualmente questo sistema è stato messo in crisi per sostituirlo con altri elementi che hanno fatto dispiegare le ali all’intreccio di un unico organismo:Europa e finanza. Non a caso i partiti hanno perso quella funzione di collegamento con la società. L’economia reale è ignorata tramite un processo che sta cancellando la trave dello sviluppo italiano,(vedi piccole e medie imprese) e alla ribalta sono ritornate le banche stampelle fondamentali per i giochi in borsa e l’affermazione della finanza a livello globale. Con la creazione di quest’Europa si sono allargati i confini per applicare questo modello, che trova la sua affermazione attraverso la crisi di sistema e lo spread. E’ come una torre di Babele. Gli uomini volevano costruire una torre imponente che arrivasse al cielo fino a quando come recita la Bibbia Dio confuse le lingue e allora ci fu l’esigenza che gli uomini si riunissero tra di loro per la lingua parlata e paradossalmente se vogliamo rimanere nell’esempio formare comunità afferenti tra loro. Oggi non c’è un’economia produttiva della quale le masse popolari tramite la politica si erano appropriate. E’ l’esatto contrario. Le masse popolari non hanno più nessun diritto, espulse dal processo produttivo( questo), ormai obsoleto per i signori della finanza, sono sempre più ridotte in schiavitù e nel frattempo l’unico dio di questa epoca malata è la finanza e tutti quei pupari che si muovono in questa direzione per affermare la propria supremazia. Credo che bisognerebbe partire da qua, smontare pezzo dopo pezzo il giocattolo che è stato creato e cominciare a pensare a un modello che tenga conto della società civile e del suo rapporto con lo Stato politico, riaffermando la necessità di diritti e doveri legalità e democrazia che ogni comunità organizza secondo le proprie peculiarità. E’ la finanza che vuole ed ha bisogno di un unico organismo sovranazionale cancellando con un colpo di spugna l’identità dei popoli.