E’ cominciato due giorni fa con il ministro degli esteri finlandese Erkki Tuomioja che ha aperto le danze con una dichiarazione soprendente. Non solo quella che il Paese dei laghi si prepara ad affrontare una possibile uscita dall’euro, ma che forse l’Unione Europea potrà funzionare meglio senza la moneta unica. Ha preso corpo ieri quando la Suddeutsche Zeitung ha dedicato tutta la prima pagina ai tentativi in atto di salvare l’Euro, con  la ovvia e intrinseca premessa che il tema è ufficialmente in discussione. E prosegue oggi con dichiarazioni sparse sulla Grecia, la cui uscita è ormai certa, ma che si tenta di procrastinare a dopo le elezioni americane.

Un anno fa l’euro era un tabù che non si poteva mettere in discussione e per il quale ogni sacrificio era lecito e necessario, tanto più che ad essere immolati erano i ceti popolari e non certo le classi dirigenti. Adesso che le cure si son rivelate la vera malattia e che i paesi ricchi rischiano di dover pagare i debiti dei piigs sempre più indebitati, la moneta unica è sulla via di essere estromessa dagli altari della religione europeista. Non prima però di aver scassato molte economie e di aver cominciato lo mattanza delle istituzioni democratiche come era del resto nei voti del liberismo ufficiale, incarnato nella trimurti Fmi, Commissione, Bce. E’ un pasticcio gigantesco che testimonia dei guai creati dal combinato disposto del pensiero unico e di una costruzione debole se non patologica della Ue.

Certo il fatto che oggi la moneta unica si stia tramutando da terra promessa a idolo cannibale delle economie, è un bel guaio per quelli che sulle ricette approntate per la salvezza avevano giocato tutta la loro posta. Che era una posta essenzialmente politica, anche se astrattamente e ottusamente obbediente ai teoremi liberisti. Se infatti il problema era quello del debito, l’Europa, la Bce e i poteri che vi si scorgono a fianco, si sarebbero dovuti limitare a formulare  indicazioni di bilancio, criteri contabili di rientro dal deficit e i relativi tempi: i singoli stati avrebbero poi dovuto mettere a punto gli strumenti adatti per raggiungere lo scopo. Invece mentre i criteri ragionieristici sono sempre rimasti vaghi e privi di qualunque giustificazione razionale, sono stati formulati precisi diktat non su quanto, ma piuttosto su cosa si dovesse fare, il che per Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda  significava taglio di welfare, di diritti, di salario, di occupazione.

Quindi per prima cosa si è cercato di privare gli stati della loro sovranità di bilancio con il fiscal compact, l’imposizione del pareggio di bilancio in Costituzione e prossimamente il Mes, senza alcuna reale, concreta e specifica contropartita. Poi, una volta resa impotente la politica nazionale, la si è sostituita con le prescrizioni del pensiero unico. Non ha funzionato sul piano economico e del resto pochissimi se lo aspettavano davvero, ma su quello politico ha funzionato alla grande determinando in mezzo continente la nascita di governi legali, ma illegittimi o perché non eletti e frutto di manovre di palazzo come in Italia e/o perché privi della sovranità che consegue alle elezioni. Il problema è che più si scende lungo questa china, più le cose vanno male perché ormai i teoremi su cui tutto questo è costruito si sono rivelati nient’altro che pretesti intellettuali per una lotta di classe ribaltata.

Una consapevolezza che man mano emerge dalla confusione e dal disorientamento, dalle credenze introiettate da ormai tre decenni. E la stessa visibile e ufficiale messa in crisi dell’euro, scrosta la vernice, il belletto posto sulla struttura mercatista e monetarista dell’Unione. Ma non importa: chi ha giocato tutta la posta su carte sbagliate o su carte giuste solo per i propri interessi, può sempre bluffare. Tacere e dare per scontati i benefici come una  classe politica impresentabile, evanescente, elusiva su tutto, tranne che sui propri privilegi. Oppure mentire come fa un mondo dei media prontamente accasatosi con i tecnici sulla spinta di editori che con la politica fanno e hanno sempre fatto affari. Sorprende che i più disposti a mentire siano proprio quelli che per età e fama dovrebbero essere fuori dalla mischia, se non altro per dignità.

Macché. Domenica scorsa Scalfari nel suo editoriale, ormai divenuto un sermone montista, affastella penose bugie nel tentativo di togliere le castagne dal fuoco al premier amico dell’editore e messo a Palazzo Chigi dall’uomo che lo deve fare senatore a vita. Dice che la recessione “era da tempo prevista da fonti autentiche e ufficiali”  quando invece nel dicembre dell’anno scorso la commissione Ue aveva fatto la previsione per una crescita dell’Italia, minima -lo 0,1%- ma comunque crescita, mentre ci troviamo in recessione. Si può graziare l’ex grande giornalista per quell’ “autentiche e ufficiali”  un po’ patetico, lo si può graziare per il fatto di scambiare delle ipotesi come il verbo e persino dal fatto di non accorgersi che tali previsioni sono quasi sempre sbagliate e interessate soprattutto  a salvare la conchiglia ideologica sulla quale sono basate. Ma la proprio la bugia no. E come se questo non bastasse dice che la recessione del 2012 si attesta “sull’1,9-2% rispetto all’anno precedente”, per arrivare a sostenere che ciò è “tranquillizzante”. Contento lui, peccato che si tratti di una nuova menzogna: la percentuale non è di tutto l’anno, ma solo del primo semestre. Il che vuol dire che possiamo attenderci un -3% e un rapporto debito-pil che già a giugno era sul 126%, al 128%. E senza grandi speranze per l’anno successivo: a proposito di previsioni Citygroup ci dà al 139% nel 2014.

Una esattezza e lucidità di analisi che fanno il paio con le considerazioni del medesimo predicatore sulla faccenda di Napolitano e delle intercettazioni, che sono il menù di questa domenica: un devoto bricolage da dilettanti allo sbaraglio, di quelli che le mogli mandano alla partita perché non facciano danni. Ed arriva sempre il momento in cui anche i grandi editorialisti si potrebbero dedicarsi agli sport più opportuni.

Ma vista la facilità con cui si dimenticano le cifre o si cerca di giostrale per rendere credibile una governance che ha come unico argomento il raffronto con l’impresentabile Berlusconi, verrebbe da pensare che siano formulate dal dottor Alzheimer, ormai il medico condotto della Roma che conta.