Licia Satirico per il Simplicissimus

Sciascia l’avrebbe chiamata impostura: una macchinazione narrativa di prestigiatori verbali più o meno accorti, con manovre sapienti, omissioni e arabeschi caotici. La manipolazione studiata della realtà confonde autori e vittime, ribalta i ruoli, ricostruisce e ridipinge maliziosamente a uso dei lettori e dei media compiacenti.
L’impostura è il segno di questi giorni difficili. Gli esodati sono una creatura delle imprese e un fenomeno sovrastimato. La strage di Piazza della Loggia non ha colpevoli ed è un problema della storia, non della magistratura. Umberto Bossi è stato circuito a sua insaputa da un gruppo di volgari profittatori, mentre suo figlio Renzo è vittima di un furbetto che gli ha teso un tranello. La Minetti viene paragonata alla Iotti nella carriera politica per meriti sentimentali.
E Berlusconi, maestro di studiate trasfigurazioni del reale? All’ex premier provvede il siniscalco Francesco Nitto Palma, commentando con durezza la riformulazione della concussione per induzione proposta da Paola Severino: Berlusconi sarebbe penalizzato da norme “contra personam” perché «non viene abolita la concussione», come invece richiesto a gran voce dall’Europa. Il senso dell’impostura eclatante sarebbe questo: nonostante l’Europa ci chieda con urgenza la cancellazione della concussione, il Guardasigilli esita perché un’abrogazione del reato avvantaggerebbe un noto perseguitato dalla giustizia, ora alle prese col processo Ruby. Di colpo – altra impostura – la ministra della Giustizia appare come nemica giurata del presidente del Pdl, pronta a sacrificare la sua fedina penale immacolata per rispettare le delicate alleanze politiche del governo tecnico.

Difficile pensare a una legge contra personam creata da una Guardasigilli ostile al presidente imputato. L’ostilità della Severino pare “morbida” come le nuove norme sulla corruzione. La saga della morte annunciata della concussione prevede, ad oggi, la scissione della fattispecie nei due tronconi dell’estorsione aggravata e dell’istituendo reato di “induzione a dare o promettere utilità”, nato come ipotesi minore di corruzione. Secondo i principi in tema di successione di leggi penali Berlusconi usufruirebbe della nuova fattispecie di reato, più favorevole della precedente e soggetta a termini di prescrizione più rapidi. “La mia riforma non è a favore di nessuno” ribatte Paola Severino, forte del tentativo di mediazione tra esigenze inconciliabili. Nessuno, però, è contento: né il Pd, che intravede nella nuova disciplina pene inadeguate, né il Pdl, insoddisfatto delle guarentigie processuali per il fondatore del partito, né l’Associazione nazionale magistrati, preoccupata per l’avanzamento sotterraneo delle leggi su intercettazioni e responsabilità civile dei giudici.

La faccenda si complica se pensiamo alle possibili interferenze tra le riforme guidate dalla Severino: per i nuovi reati di corruzione privata e di traffico di influenze, punibili con la reclusione da uno a tre anni, sarebbero precluse le intercettazioni in fase investigativa. Le norme sollecitate dall’Ocse rischierebbero, così, di restare simboliche, prive di concreti mezzi di accertamento e facilmente prescrittibili: un’altra mistificazione sbandierata come segnale forte di lotta a un reato che è diventato una voce del Pil, una piaga endemica di amministrazioni e partiti, un sottosistema di fronte al quale non c’è Repubblica (prima, seconda o terza) che tenga.

Le leggendarie riforme “condivise” della giustizia sono dunque chimeriche: per non scontentare nessuno, la Severino scontenta tutti. A rendere efficaci le numerose norme sulla corruzione oggi già presenti nel codice penale basterebbe abrogare la famigerata legge ex Cirielli, che impedisce – di fatto – di celebrare i processi: i famosi processi “contra personam” di cui parla l’ex ministro della giustizia. Un’impostura da Consiglio d’Egitto accompagna il processo per la nipote d’Egitto del faraone della vita politica italiana. Ma intrappolato tra caimani, trote, delfini e correnti, il parlamento in carica può permettersi, al più, un fermo biologico normativo.